Evitiamo gli astratti moralismi di chi pensa che esportare dignità, avendo come
cittadino onorario della propria città un leader spirituale della non violenza,
Nobel per la Pace, abbia più valore dei tanti contratti commerciali messi a
rischio da un boicottaggio cinese all’Expo.
Evitiamo di osteggiare una produttiva e concreta realpolitik.
Evitiamo di osteggiare una produttiva e concreta realpolitik.
Evitiamolo, perché ogni sindaco, ogni amministrazione
comunale sceglie di fare come meglio crede, privilegiando gli interessi che
preferisce.
Però, da oggi, evitiamo anche tanto altro.
Evitiamo di spacciare Milano per la capitale morale del
paese; magari economica, morale proprio no, se mai lo è stata.
Evitiamo di ritenerci migliori degli altri, perché noi siamo
i valori della Sinistra, noi siamo progressisti, noi siamo per un mondo
più a misura d’uomo, per la tutela dei diritti civili, per combattere le
ingiustizie nel mondo, per difendere gli oppressi e tante altre balle e
fregnacce in ordine sparso.
Evitiamo di criticare il sistema capitalistico e i disvalori
consumistici, se poi, dovendo scegliere tra il ricatto arrogante di una
convenienza commerciale e il conferimento di un'onoreficenza al Dalai Lama,
scegliamo senza esitare di chinare la testa al ricatto.
Evitiamo di ripetere a pappagallo, come robottini con la
riga al posto giusto, che al Dalai Lama sarà concesso di parlare in Consiglio
comunale, per non rispondere alla precisa domanda sul significativo gesto simbolico a difesa dei diritti
civili.
Evitiamo, soprattutto, l'ipocrisia di non voler offendere la
sensibilità della numerosa comunità cinese di Milano.
Evitiamolo. Perché se la negata cittadinanza onoraria al Dalai Lama è una scelta di pragmatismo commerciale, può
piacere o non piacere. Se un Consiglio comunale si rimangia la parola data e
obbedisce a un diktat di un rappresentante di commercio dell’estremo oriente (Don Pisapia, questa cittadinanza non s'ha da fare!),
può non piacere o non piacere turandosi il naso.
Ma se si vuol prendere a pretesto il rispetto della sensibilità di una comunità
il cui paese d’origine ha invaso militarmente il Tibet e da decenni sta metodicamente agendo
per distruggerne il patrimonio e le espressioni culturali, in nome di una fanatica sinizzazione noncurante dei diritti umani, beh allora... andassero a farsi fottere la Cina, il
console cinese, la realpolitik, un Sindaco azzeccagarbugli e un Consiglio che riceve consigli come fossero ordini da eseguire.
Non certo la comunità degli emigrati cinesi a Milano, già abbastanza impegnati a guadagnarsi da vivere, balle o mica balle.
K.
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