Pagine

giovedì 1 novembre 2012

Canoni estetici dell’Aldilà

C’era quasi Joseph Aloisius Ratzinger, in arte Benedetto XVI. C’è andato vicino, gli mancava un nonnulla per fare un figurone, poi ha toppato. Durante l’udienza generale in San Pietro, ha sottolineato un elemento che deve caratterizzare ogni religione e ogni fede: il riconoscersi in una comunità. Senza appartenenza condivisa non c’è liturgia, non c’è formula, non c’è codice, non c’è canone. Senza liturgia, va da sé, non c’è religione.

È come per l’estetica nell’arte. In ogni epoca l’estetica ha codificato i propri canoni di riferimento. Partecipare del senso del bello, convenzionalmente inteso, comporta l’adesione ai precetti, ai canoni di quella determinata comunità estetica.
La comunione nell’estetica dei valori cristiani o, più specificamente, cattolici, fa sì che un individuo possa a tutti gli effetti dirsi cristiano o cattolico. Anche volendo scegliere estetiche religiose alternative alla Chiesa di Roma, bisogna comunque riunirsi in un nuovo cenacolo di condivisi ingredienti basilari. Insomma, l’affermazione che la fede religiosa non possa esprimersi pienamente in una sfera privata, è talmente “condivisibile” da risultare pleonastica.

Aveva cominciato bene, il Vicario di Cristo sulla Terra – o almeno tale ritenuto dagli aderenti alla comunità cattolica. Poi però è finito a straparlare fuori dal seminario.
Riprendo dalla nota d’agenzia dell’ASCA: “In un mondo in cui ''l'individualismo sembra regolare i rapporti tra le persone, rendendoli sempre più fragili'', per il Papa ''la fede ci chiama ad essere Chiesa, portatori dell'amore e della comunione di Dio per tutto il genere umano''. Quindi, la fede ''non è il prodotto di un mio pensiero, ma è frutto di una relazione, di un Dialogo''.”

Secondo Ratzinger l’individualismo è il male contemporaneo, sottintendendo che magari pure tutte le ingiustizie nel mondo sono dei suoi derivati. Il temuto individualismo sarà il “pensare con la propria testa” oppure l’”egoismo sociale di alcuni che sfruttano altri”? A Ratzinger torna comodo stare sul vago, riferendosi a un non ben specificato concetto di “individualismo”.
Proviamo con l’ipotesi sociale. La cura a questo presunto “individualismo” non sta nello sviluppo di adeguate politiche sociali (e magari laiche, è concesso?) atte a combattere sul piano dell’aldiqua le ingiustizie del mondo e gli egoismi di parte. L’antidoto sarebbe la stessa Chiesa che, come avviene da duemila anni, contribuisce a perpetrare e legittimare le ingiustizie sociali, tenendo buono il gregge e dandogli speranza che gli afflitti saranno ricompensati e gli individualisti puniti. Ma non qua, nell’aldilà.

La Chiesa cattolica è l’espressione religiosa in grado di prosperare e stare a proprio agio in seno a una società capitalistica, grazie proprio all’ipocrita capacità di adattare i propri canoni religiosi a quelli consumistici. Vogliamo confrontarci sull’amor cristiano che puntualmente verrà scambiato a breve sotto forma di pacchi regalo natalizi? O discorriamo di tutte le comode aderenze di tessuto religioso con tessuto di spreco e opulenza dentro la cattiva società individualista? Preferiamo dialogare del secolare andare a braccetto di alte gerarchie ecclesiastiche e poteri forti, finanziari, politici e comunque secolari?
Bizzarro che proprio il capo della Chiesa vaticana identifichi nella propria istituzione una soluzione alla deriva individualista nella società. Bizzarro, visto che la Chiesa legittima con il sacramento spirituale della propria connivenza le derive capitalistiche dei drammi sociali.

Non essendo la Chiesa una cura agli egoismi sociali, rimane soltanto l’individualismo come capacità dell’individuo di formulare un pensiero critico autonomamente, spingendosi pure a dichiararlo. Di ciò si preoccupa, avendone una paura fottuta, l’uomo Giuseppe Aloisio Ratizinger: che i canoni di estetica religiosa e sociale ai quali è disperatamente attaccato, risultino estranei e superati a tanti pensieri individualisti.
Nei quali individui (val la pena precisarlo) la spiritualità è davvero fatto privato e possibile, non essendo la Chiesa o altri Canoni religiosi i depositari esclusivi del brevetto dell’Aldilà.

In ogni caso, all’interno di ogni comunità fedele a un credo (canoni, valori, fate voi) condiviso, ci si può liberamente raccontare ciò che si vuole. Ciò che stride è spacciare l’Inesistente per esistente. E non mi riferisco all’opinione condivisa che ognuno può avere di Dio. Mi riferisco al Dialogo (curiosamente riportato in maiuscolo). Se per dialogo si intende il semplice flatus voci, il recitare tutti assieme formule liturgiche mandate a memoria, se ogni premessa di confronto parte dall’inconfutabile base delle Sacre Scritture, se a ogni obiezione si tira fuori una parabola dalla collana delle fiabe dell’editore Roveto Ardente, beh, buona Preghiera a tutti. Sono certo che un dialogo del genere lascia sempre tutti d’amore e d’accordo, così come li ha trovati: d’amore e d’accordo. Senza contraddittorio non c’è contraddizione; il dictat ha i suoi vantaggi.

Ratzinger ha definitivamente gettato alle ortiche ogni buona premessa, facendo tutt’uno tra la sua comunità di seguaci che si riconoscono nel Canone di estetica sociale della religione cattolica, e l’intero genere umano. Sempre la solita arroganza degli esteti della salvezza del mondo. Quanto amore umano rivelerebbero se si limitassero a coltivare la loro Estetica dell’Aldilà, tra di loro, senza volerla spacciare per universale Estetica dell’Aldiqua!

K.

Nessun commento:

Posta un commento

Ai commenti non viene applicata la moderazione.
Ognuno può esprimere educatamente la propria opinione.
All'occorrenza verranno rimossi eventuali commenti offensivi, spam o comunicazioni estranee al post.

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.