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giovedì 17 maggio 2012

E se volessi chiedere altro, ad altri?

Lo so che non dovrei metterla sul personale. Ma quando qualcuno ti rivolge la parola, insistentemente, dandoti del tu, sarebbe da maleducati non badarlo. Foss’anche un estraneo che si prende la confidenza di propinarmi risposte non richieste.
Bene, CEI. Diamoci pure del tu. (si fa per dire)

È martellante la cadenza con la quale la pubblicità “Chiedilo a loro” appare sui canali televisivi in queste settimane. La Chiesa cattolica invita a sceglierla per donare l’8 x mille nella dichiarazione dei redditi. Facendo appello al buon cuore dei telespettatori, fa sfilare in passerella poveri, emarginati, ex tossicodipendenti, malati di aids, donne vittime della prostituzione e della violenza.
Sia chiaro senza equivoci: la Chiesa annovera tra le sue attività utili, capillari, concreti interventi nel tessuto sociale, in soccorso e sostegno di categorie spesso colpevolmente trascurate dallo Stato.
Invece l’intenzionale equivoco è nel concept dello spot. A partire dal payoff: “Chiedilo a loro!”
Ci pensa la CEI a suggerirmi la risposta rassicurante a una implicita domanda.
Il dubbio c’è, ma è scaltramente sottaciuto.

Perché dovrei destinarti l’8 per mille nella dichiarazione dei redditi?
Più diretto: Perché, Chiesa, dovrei darti i miei soldi?
Come perché?! A noi lo chiedi?! risponderebbero le alte gerarchie in vesti sontuose, anelli d’oro e floridi conti bancari.
A fare la questua non ci mettono la faccia i manager di un’organizzazione god profit che non sta esattamente con le pezze al culo – vedi IOR, APSA, IMU (pure quest’ultimo un ottimo strumento di introito economico, visto che si può far soldi anche risparmiando sulle uscite, non pagando tasse che altri soggetti devono versare alle casse dello Stato).
Papi, cardinali e vescovi, quando fa comodo, mandano in campo le “vecchie glorie”, il povero cristo scalzo, il buon fraticello, il missionario in terra d’Africa e il bravo parroco di campagna. In compagnia delle tante persone che ricevono aiuto. Mettono in vetrina la falegnameria, nascondendo l’argenteria. Candelabri d’oro e argento massiccio potrebbero far vacillare le coscienze. Esponiamo invece la ciotola in legno del santo graal dell’umile falegname, le miserie e ristrettezze umane (degli altri), mandiamo in giro San Francesco a porgere la mano mendicante.

Chiedilo a loro perché dovresti darci i tuoi soldi.
Perché noi, francamente, non sapremmo che risponderti.
Io dovrei chiederlo a loro. A persone stimabili (i soccorritori) e meritevoli (i soccorsi). Troppo comodo, troppo prevedibile, non vi pare?
Mi dite di chiederlo a loro. Perché i porporati ben pasciuti mandano la manovalanza a bussare al mio buon cuore per chiedermi l’obolo.
E se io volessi chiedere a voi perché non ci mettete le vostre facce? Se volessi rivolgere io domande meno banali e più scomode ai vari Ruini, Bagnasco, Bertone, Ratzinger?
Ci provo.

Andiamo a vedere cosa c’è dietro la bonaria pubblicità di facciata.
Nel 2011, di granello in granello, la Chiesa cattolica ha racimolato più di un miliardo e cento milioni di euro. Ottimo, tutti soldi che andranno in opere di carità, come da pubblicità, verrebbe da pensare.
Circa un terzo della cifra viene speso per catechesi ed edilizia di culto (ah, pillola umoristica: pure lo Stato italiano impiega quasi la metà del proprio gettito da 8 x 1000 al restauro architettonico degli edifici cattolici).
Un altro terzo serve al sostentamento (stipendio) del clero.
A conti fatti soltanto un quinto di tutta la somma viene impiegato per interventi caritativi.
Potremmo davvero chiedere a loro cosa ne pensano di questa ripartizione.
Curiosamente, lo stesso presidente dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica ha lamentato il divario esistente tra il messaggio della campagna pubblicitaria e l’effettiva destinazione d’uso dei soldi raccolti.

No, io non ho niente da chiedere ai dignitosi interpreti della pubblicità.
Nessun dubbio sul loro genuino valore umano. Anzi, sono qua a rassicurarli.
State tranquilli, a voi poveri, a voi ultimi, a voi emarginati, qualcosa di buono arriverà da questa pubblicità.
Un euro su cinque, ma arriverà.

K.

pubblicato su Cronache Laiche

Post Scriptum
Una nota a margine, anzi a pedice, doverosa.
Da uomini di mondo, sappiamo che la pubblicità è un mezzo, e la Chiesa in questa circostanza se ne serve al meglio. Conviene riflettere su qualche altra cifra. Nel 2008 la Chiesa cattolica ha speso 22 milioni di euro in pubblicità, ottimo investimento in termini relativi, visto che la cifra è equivalsa al solo 2,5% dei fondi per quell'anno. Insomma, una campagna faraonica con ritorni economici piramidali: ottima operazione di marketing.
Lo Stato invece non investe minimamente in pubblicità: la percentuale di preferenze di destinazione dell’8 per mille a favore dello Stato è scesa drasticamente dal 23% del 1990 all'8% del 2006.
Evidentemente nella gestione della cosa pubblica frega poco ai responsabili di lavorare per il vantaggio economico (e sociale) dello Stato.

Si può discutere sull’effettiva destinazione caritatevole di ingenti cifre raccolte; magari anche sulla correttezza comunicativa di certe pubblicità. Se però stiamo al metodo, si constata che non è colpa della Chiesa se lo Stato italiano non sa curare i propri interessi, come in tanti altri confronti con lo Stato vaticano. Questo accade quando istituzioni pubbliche sono ridotte a strumento per curare interessi personali e privati.
A pensarci bene, oggigiorno, chi scommetterebbe un euro che il suo 8 per mille dato allo Stato non finirebbe nelle tasche di qualche mestierante o tangentista?

1 commento:

  1. Bravo, bravissimo dall'inizio alla fine. Mi si rimescola il sangue ogni volta che mi ci fanno pensare.

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