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giovedì 28 giugno 2012

Non certo un diritto dovuto a chicchessia

Invece di prendere a pretesto l'intangibilità della Carta costituzionale tanto per dar contro alla Fornero, sarebbe il caso di metterci mano all’articolo 4 della Costituzione.
“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”

Lavorare, come atto in sé, non è propriamente un dovere, tantomeno è un dirittoCasomai, lavorare è una necessità.


Brevemente, sul concetto di "lavoro come dovere". In una società civile, il dovere centrale di ogni individuo adulto dovrebbe essere il rispetto di un patto sociale di corretta, reciproca convivenza, che lo impegni al meglio delle proprie possibilità a non gravare a peso morto sugli altri, eliminando mansioni superflue, incompetenze parassitarie e falsi invalidi. Tra gli strumenti a disposizione c'è anche il lavoro, in quanto mezzo per guadagnarsi da vivere, non un fine da adempiere. Sarebbe ora di rimuoverla questa concezione di etica sociale fondata sul lavoro, questa idea di vivere per dover lavorare. Altrimenti non usciremo mai dalle secche di un'esistenza passata a produrre, in un'idea di società capitalistica e consumistica, con l'uomo ridotto a ingranaggio produttivo, dove nessun progresso tecnologico potrà mai riscattare le ore della nostra vita dal dover lavorare tutta la giornata.

Altra cosa è l'etica del lavoro. E qua men che meno il lavoro è un diritto a priori.
Occorre chiarire il concetto, aggiungere l'aggettivo "dovuto", per non incorrere nel fraintendimento al quale si è esposta la Ministra, nella sua dichiarazione al The Wall Street Journal.
"Stiamo cercando di proteggere le persone, non i loro posti. L'attitudine delle persone deve cambiare. Il lavoro non è un diritto, deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio".

Un conto è volere uno Stato che favorisca condizioni e assistenza ai cittadini nella necessità di lavorare, perché possano esercitare il diritto al lavoro (salvo rare eccezioni, occorre lavorare per vivere).
Un altro conto è ritenere, con mentalità statalista, assistenzialista e "modernamente" sindacalista, che la possibilità di esercitare un diritto renda il diritto dovuto a chicchessia, senza distinzioni.
Il cambio di mentalità, il cambiamento culturale, comincerà a esserci quando i diritti non saranno più dovuti sempre e indistintamente, bensì quando sarà garantita a tutti i meritevoli la possibilità di esercitarli.

Ai soggetti inefficienti non dovrebbe essere garantito il diritto al lavoro, tanto meno come inamovibile posto fisso (visto che di lavoro dipendente si parla), anzi ci vorrebbe sempre più certezza che a incompetenti, raccomandati, assenteisti e fancazzisti venisse resa molto precaria la garanzia al posto fisso, il loro presunto inviolabile “diritto di permanenza al lavoro”.
Più saranno resi precari i cosiddetti diritti dovuti senza merito dimostrato e verificabile, più sarà ridotta la precarietà di chi merita la sacrosanta possibilità di esercitare il diritto al lavoro.

Garantire la qualità e l’onestà di trattamento nel mercato del lavoro passa, inevitabilmente, attraverso questa via. Allora finalmente potremo concentrarci sulla tutela dei diritti, anche salariali, di chi merita l’aiuto del Welfare.

Forse, chiamandosi Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, sarebbe il caso che, attraverso il Lavoro, la Politica (una buona Politica) cominciasse a sanare il tessuto Sociale. Sostenendo i diritti di chi merita e mettendo alla porta chi demerita.

Oppure possiamo continuare a scandalizzarci di come vanno le cose, imprecando contro privilegi inamovibili, inefficienze, assenteismi, badge passati al posto del collega ed esuberi del personale, specialmente nel settore pubblico, e che così non si può andare avanti e bla bla bla. Poi, alla prova dei fatti, schieriamo i sindacati a difesa dei diritti dovuti alla cieca a tutti sempre e comunque, diamo contro a ogni riforma, e continuiamo a sperare che tutto cambi senza mai modificare un cazzo e senza mai licenziare nessuno. Davvero una credibile prova di virtù.

K.

2 commenti:

  1. Sono in parte d'accordo, ma mi spaventa questa tuo passaggio:
    «Ai soggetti inefficienti non dovrebbe essere garantito il diritto al lavoro, tanto meno come inamovibile posto fisso (visto che di lavoro dipendente si parla), anzi ci vorrebbe sempre più certezza che a incompetenti, raccomandati, assenteisti e fancazzisti venisse resa molto precaria la garanzia al posto fisso, il loro presunto inviolabile “diritto di permanenza al lavoro”».
    Mi spaventa perché non trovo nessuno, tra coloro che sono al potere, che abbia il diritto di giudicare tali cose. Ma chi poi, in realtà, ha questo diritto? Oh, intendi. Lo so bene cosa intendi dire tu: fancazzisti li conosco bene: lo sono anch'io!

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    1. Sì, è spaventoso pensare alla difficoltà dell'impresa e a come si dovrebbe rivoltare come un calzino un intero apparato di pensiero, una mentalità avvezza a rendere folclore italiano l'inefficienza e lo spreco. A me spaventa altrettanto sentire dichiarazioni nelle quali, a parole, tutti si dicono indignati, si augurano un sistema meritocratico, servizi più efficienti, dalle scuole agli ospedali, dalla pubblica amministrazione alle ferrovie. Poi, quando si arriva al punto di dover far qualcosa di concreto si evita di affrontare la questione propugnando l'inviolabilità dei diritti di generici lavoratori, ecc. E allora ecco rivelarsi il bluff dietro il quale, in fondo, a molti fa comodo mantenere lo status quo.

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