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mercoledì 5 giugno 2013

Spunti di comunicazione a Cinque Stelle

Supponiamo che un individuo ritenga la televisione un calderone caotico, confusionario e pure infido, che, anche osando gettarci dentro il proprio messaggio, rischierebbe di vederlo restituito travisato e distorto.
Supponiamo che quello stesso individuo, essendo per qualche ragione un soggetto appetibile da intervistare, sia anche consapevole dell'importanza del mezzo televisivo per comunicare il proprio pensiero a un'ampia fascia di cittadini.
Quell'individuo potrebbe decidere di comportarsi nel modo seguente.

Basandosi sui propri criteri di valutazione, inizia con lo scartare quelle trasmissioni e quei conduttori che ritiene non attendibili. Rifiuta di partecipare, rifiuta l'intervista, evita di dare loro lustro, tanto o poco che sia, con la sua presenza. Rimangono in lista pochi programmi, pochissimi nomi. Avendo in testa una certa idea di come dovrebbero essere un dibattito e un'intervista per produrre un qualche contenuto valido che arrivi allo spettatore, quell'individuo prima di accettare l'invito in trasmissione, stabilisce con il conduttore le modalità per partecipare. Ad esempio, potrebbe voler parlare soltanto con il giornalista che conduce la trasmissione, rispondendo soltanto alle sue domande. Magari potrebbe non volere pubblico in studio (il cui contributo spesso si riduce all'applauso, di per sé condizionatore d'opinione).
Sulle domande, spero non imponga alcuna censura preventiva, poiché, per come la penso io, è diritto porre liberamente qualsiasi domanda, essendo nel pieno diritto dell'intervistato non rispondere.
Stabilito il format, il nostro individuo va in trasmissione e, stando agli accordi, viene intervistato dal giornalista. Starà allora alla competenza e alla buonafede del giornalista fare domande di qualità che stimolino risposte di qualità e quindi un'esperienza d'informazione di una certa qualità.

Bene, un individuo che si comportasse così avrebbe tutto il mio apprezzamento, poiché sono convinto che non basta prendere atto che la comunicazione televisiva è spesso carente e condizionata, è anche necessario criticare costruttivamente proponendo validi esempi alternativi. Bisogna sapersi sottrarre ai confronti scadenti, privilegiando quelli di maggior valore. Ed è così che si sono comportati i due parlamentari del Movimento Cinque Stelle. Luigi Di Maio a Otto e Mezzo si è lasciato intervistare da Lilly Gruber. Nicola Morra a Piazza Pulita è stato intervistato da Corrado Formigli. Mentre dalla Gruber è già prevista la formula "conversazione al tavolo", è a Piazza Pulita che si è vista maggiormente l'impronta dettata dalle condizioni sine qua non.

Piccola parentesi: a me poco interessa cosa abbia detto il senatore Morra, se siano state affermazioni piene o vuote, condivisibili o no; mi piace il fatto che per un po' di tempo ci siano state due persone che parlavano, senza sovrapporsi, avendo la possibilità di sviluppare un flusso logico argomentativo, uno ponendo domande l'altro offrendo risposte.

Finita l'intervista, Piazza Pulita è tornata alle sue esigenze di talk show da rete commerciale, con discorsi spezzettati, concitati, uno che parlava sopra l'altro, applausi, ecc. In particolare ho trovato sgradevole l'imbronciata lamentela di Pierluigi Battista nei confronti del parlamentare M5S. Secondo Battista tutti devono partecipare alla trasmissione accettando di dialogare con tutti. Battista è libero di tenersi la convinzione che tutti debbano interloquire con lui, io invece penso che ognuno scelga liberamente di relazionarsi con chi gli comoda e soltanto nei modi che ritiene per lui accettabili. Soprattutto, se mi cercate per rilasciare un'intervista, non sono io che cerco voi, siete voi che avete bisogno di me, quindi, nei limiti del buon senso, posso anche dettare le modalità.

Anche perché le trasmissioni che dibattono di politica si riducono spesso alla ricerca della spettacolarizzazione, del "per favore parlate tutti insieme, altrimenti c'è il rischio che qualcuno capisca qualcosa" (Processo del Lunedì docet). Da Santoro gli applausi sono rigorosamente schierati, a Ballarò invece ogni ospite si porta la sua claque personale. Ieri sera, per quel che mi riguarda, tre ore di trasmissione hanno prodotto meno comunicazione utile dei pochi minuti di intervista al senatore M5S.

Penso che per offrire una informazione di qualità, occorra prima approntare dei momenti di comunicazione in grado di fornirla. Solo a quel punto si può migliorare la qualità dei contenuti e magari conviene che il giornalista - in questo caso Corrado Formigli - non sprechi l'occasione con domande stucchevoli e insistenti sulla busta paga dell'intervistato.

Avere il coraggio di accantonare dei talk show che sanno sempre di varietà e poco di politica, può essere una scelta libera e forse pure conveniente anche per un canale commerciale (Zeta di Gard Lerner offre momenti di concreto, costruttivo confronto tra i pochi ospiti in studio col conduttore). Senz'altro dovrebbe essere un dovere, prima che un diritto di scelta, sui canali Rai, se vogliamo cominciare a parlare di servizio d'informazione pubblica. Ma si tratta di passare dal Via col Vento di Bruno Vespa a un'idea di servizio pubblico estraneo a logiche commerciali, dove l'informazione sia il meno possibile cloroformio o mistificazione. Quindi, buona fortuna al Movimento Cinque Stelle per la Presidenza di Vigilanza Rai.

***

Purtroppo, nel computo bisogna mettere anche un venditore di pentolame, che nel frattempo stila liste di conti da far pagare ai giornalisti non graditi, li assomma tutti equiparandoli a criminali, instilla odio contro l'intera categoria dell'Informazione, dà in pasto alla folla l'idea che egli solo diffonda verità, e impartisce ordini ai suoi scagnozzi di oscurare il diritto di cronaca in una piazza pubblica.

Peggio della peggiore informazione, per me, esiste soltanto la volgarità della censura e il rifiuto preventivo, assoluto del confronto.

K.

3 commenti:

  1. Se ho ben capito: "O ACCETTI LE MIE CONDIZIONI O NULLA".
    Cosi c'é poca democrazia!!!
    In un incontro alla pari ciascuno delle parti può esprimere il proprio parere, senza pregiudizi e senza aggressioni verso gli altri; ma sopratutto rispondendo a tutte le domande con la possibilità di astensione.

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    1. Sì, per quello che ho scritto, hai ben capito.
      Si tratta però da chiarire cosa vogliamo intendere per "O ACCETTI LE MIE CONDIZIONI O NULLA".
      Già il tono che intenzionalmente indichi mi fa essere d'accordo con te, nel rifiutare arroganza, prepotenza, violenza, verbale o meno.
      Per come la vedo io, molti appuntamenti di dibattito politico televisivo sono di fatto dei talk show, nei quali si butta in pasto agli ospiti un argomento dietro l'altro, per rispettare una scaletta, per non annoiare lo spettatore, allettato dal prologo del comico o in attesa dell'epilogo delle vignette. Questo perché si ha paura di annoiare la gente dibattendo soltanto di questioni sociali e politiche, in un confronto serio e non urlato. Ecco, verso questo miglioramento penso si debba avere il coraggio di andare, ovvero rimuovendo quelle "condizioni" che rendono inevitabilmente degli spettacoli isterici dove gli ospiti hanno solo la preoccupazione di ritagliarsi uno spicchio di visibilità per ascoltare la propria voce.
      Le condizioni imposte dovrebbero essere in questa direzione: volersi confrontare tra poche persone, intanto con il conduttore, poi più avanti con qualcun altro se si vede che si rende fattibile la cosa.
      Ora come ora, tra andare a fare la comparsa in una "democratica kermesse da tavolata caciarotta" e dare la mia disponibilità a un confronto a due o pochi di più, scelgo la seconda opzione. E nessuno impedisce ad altre voci di farsi sentire, ma non sovrapponendosi a me.
      Io ritengo irrinunciabile il confronto e il dialogo, ma non penso basti spacciare il casino polifonico con barzellettiere al seguito come elementi di confronto e dialogo. Così ci si riduce a tanti monologhi con se stessi, in mezzo al vociare di un mercato.

      Un esempio: tu devi andare in una trasmissione e sai che lì ci sto io come ospite fisso che la butto in cagnara a ogni discussione. E io rendo bene commercialmente, attraggo audience, quindi sono inamovibile. Tu che fai? Ti presti a venire ad avvilirti dovendo avere a che fare con me e ai telespettatori non riesci a far avere alcun messaggio, o semplicemente parli con gli ideatori del programma, esponi le tue perplessità e li inviti a proporti un format per averti ospite, che rimuova le condizioni di svilimento del tuo intervento? Per me, se scegli la seconda opzione non sei affatto antidemocratico, anzi, mostri preoccupazione e rispetto per il fruitore finale del prodotto, chi sta davanti allo schermo.
      Tutto ciò, ovviamente, se c'è buonafede da parte tua e non il calcolo di voler fare monologhi rifiutando il contraddittorio.

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  2. Hai ragione. Non sopporto quando non si riesce mai a capire cosa dice una persona, anche quando non la pensa come me. Personaggi che continuano a saltare sulla voce degli altri e spezzettano il discorso fino a farlo divenire una cagnara incomprensibile.
    Un giornalista serio, e il suo direttore ancora più serio, dovrebbero avvertire gli ospiti delle regole civili del dibattito e non richiamare più chi non le segue. Ma la pubblicità di una litigata vale di più di una buona informazione. Se può essere necessario in una televisione pubblica, dove si devono fare i conti con la pubblicità per sopravvivere, è totalmente inaccettabile nella televisione pubblica.

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