L’articolo 21 della Costituzione Italiana tutela “il diritto
di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni
altro mezzo di diffusione”. Esiste però anche il contrappeso di dover tutelare da offese
gratuite, calunnie e diffamazioni. Nella specificità dei professionisti dell’informazione,
idee, pensieri e parole diventano strumenti tecnici di lavoro, che devono
essere caricati di una responsabilità e un peso senza i quali competenza e
professionalità decadono. In tal senso, un direttore responsabile di una
testata giornalistica di rilevanza nazionale non può e non deve essere
equiparato a un ubriaco che sproloquia al bar. Ciò che dice o scrive ha
maggiore peso.
Io da questo blog potrei affermare che tu che stai leggendo,
sì proprio tu con nome e cognome, spacci droga ai bambini di una scuola
elementare e a quelli che non hanno soldi per pagare metti le mani nelle mutande. È evidente che tu potresti denunciarmi, ma è altrettanto evidente
che sarebbe ben più lesivo e quindi punibile se lo facessi scrivendo un editoriale
sulla prima pagina di un quotidiano nazionale, mezzo che graverebbe del peso della attendibilità la mia affermazione.
Non bisogna confondere sbrigativamente il diritto di cronaca
e di critica con un inesistente diritto di offesa o calunnia. Trattandosi di
una questione tecnica di libertà d’espressione giornalistica, questo è quanto
riportato nel sito dell’Ordine dei Giornalisti, alla voce Diffamazione a mezzo stampa.
Non so se Sallusti meriti il carcere. So però che in questi
giorni leggo tanti colleghi accorrere in difesa di Sallusti, in nome di una
lesa libertà di opinione e parola. Se un direttore si fregia dell’aggettivo responsabile, del prodotto che esce dalla fabbrica è responsabile. E il
prodotto in questione è un insieme di pagine con tante frasi scritte, nelle quali non
dovrebbe essere concesso l’imprimatur in presenza di considerazioni diffamanti. Se una sola persona non riesce a garantire la copertura del “controllo di qualità interna”, si delega questa responsabilità a più persone. Fatto
sta che se da una fabbrica di orsacchiotti ne uscissero alcuni con molle
arrugginite che vanno a conficcarsi negli occhi di un bebè, nessuno
accetterebbe come giustificazione un “io da solo non riesco a controllare tutti
gli orsacchiotti”. Lo stesso atteggiamento si dovrebbe avere con il prodotto “carta
stampata”, a meno che non si voglia abbassare un organo di informazione al
livello di un volantino anonimo attaccato al tergicristalli dell’auto.
L’Ordine dei Giornalisti, in tal senso, dovrebbe avere come ragione
d'esistere la tutela dei lettori, ovvero i clienti, attraverso la salvaguardia
della qualità del prodotto, e non la sola difesa dei propri iscritti. Altrimenti l’iscrizione all’Albo serve solo a far distinzione tra chi spara cazzate da posizione privilegiata e chi da in mezzo alla calca.
Anche l’obiezione che dover pagare col carcere un’eventuale
condanna per diffamazione sia una pena sproporzionata, mi pare un’obiezione…
distratta. Infatti si è arrivati a questo punto perché precedenti passaggi dell’iter
processuale, consistenti nel patteggiamento di una pena pecuniaria, sono stati
snobbati dall'imputato.
Insomma, non conta sapere se Sallusti debba andare in
carcere. Sono altre le domande generali, per non ridurre la vicenda alla solita contrapposizione da
ultrà, se il direttore del Giornale sia un martire della
censura o un privilegiato della diffamazione.
Un giornalista, in quanto professionista dell’informazione, è
responsabile di come lavora, o può ritenersi libero di dire e scrivere tutto
ciò che gli comoda, anche offendendo o diffamando?
Un imputato che rifiuta soluzioni meno traumatiche e che alla
fine si ritrova addosso una condanna al carcere, è uno che fin dall’inizio sperava
di farla franca in stile non esiste che
io debba renderne conto, o sta subendo una pena incongrua piovuta dal cielo
dalla notte all’alba?
Ci poniamo il problema se sia corretto che in ultima istanza un giornalista
rischi il carcere per diffamazione o la questione è che, comunque sia, un
giornalista non debba mai andare in carcere per diffamazione? In quest’ultima ipotesi, chi ha alle spalle il fondo cassa
dell’editore può scribacchiare offese o falsità verso chicchessia, intanto il
carcere non lo rischierà mai?
I giornalisti detengono il grande potere (pare il quarto)
dell’informazione, ma come per molti altri poteri valgono soltanto i privilegi
e mai le maggiori responsabilità? Potenti penne su scranni in prima pagina
quando fa comodo e vittime del bavaglio carcerario della censura quando fa
ancora più comodo?
Penso che la professione di giornalista, se fatta bene,
possa essere tra quelle di più alta dignità e servizio sociali. Però l’esistenza di un
Ordine e relativi albi, deve tutelare anche i lettori sulla differenza di assunzione
di responsabilità tra ciò che una persona qualsiasi può sbraitare in piazza o
allo stadio e ciò che un giornalista deve garantire con la propria
professionalità.
Conta il principio: di credibilità. Conta arrivare a stabilire,
almeno sulla carta, se i giornalisti sono una potente categoria di servizio o
una lobby di potere, nella quale i cani si abbaiano l’un l’altro, ma alla prova
dei fatti non si mangiano mai tra loro.
Il caso Sallusti è marginale, quasi ininfluente.
K.
Per me è giustissimo che paghi, il resto l'hai detto benissimo tu. Non si può offendere e diffamare nessuno approfittando della propria posizione, che poi sia un giornalista o semplicemente chiunque altro occupi una posizione privilegiata è irrilevante.
RispondiEliminaUltimamente stava passando l'idea che gli imputati potessero sempre in qualche modo farla franca semplicemente appigliandosi alla loro estraneità ai fatti o al normale svolgimento del proprio lavoro tutelato da garantitismi che il resto della popolazione non ha.
Mi sono chiesta se il mio giudizio su questa faccenda fosse influenzato dal fatto che non mi è mai piaciuto il modo di fare di Sallustri...forse si... ma il punto è proprio questo, le offese gratuite, i modi arroganti, l'arroganza di chi crede che tutto può essere manipolato non sono le caratteristiche di un buon giornalista a mio parere.
È sempre bene attenersi ai fatti, evitando di essere condizionati da emotivi umori di simpatia o antipatia personale (anche a me sta antipatico, nel sereno gioco delle diversità umane nei modi di fare; ma ciò non conta). A mio parere non è tanto grave se evita o sconta la pena detentiva. È grave, nel caso non la scontasse (evenienza più probabile), che la categoria dei giornalisti non abbia l'onestà di affermare come stanno veramente le cose: un giornalista è legittimato a offendere e diffamare chi vuole; intanto sa che, comunque vada, in carcere non finirà mai. Almeno lo dicessero chiaramente, senza spacciare la cosa come "difesa della libertà d'opinione".
EliminaPer me non è irrilevante se a calunniarmi sei tu lillina o il direttore della Voce della Calabria. Tu puoi essere una sprovveduta; un giornalista, dovendo conoscere regole e leggi del proprio mestiere, è tenuto ad assumersene le responsabilità. Quindi se un giornalista mi diffama non lo voglio né privilegiato né trattato alla pari di chiunque altro. L'essere un professionista dell'informazione dovrebbe costituire aggravante. Oggi pare si voglia certificare l'esatto contrario.
Ciao :)
ps: Essendo io un pubblicista iscritto all'Ordine, non parlo certo per convenienza d'astio verso i giornalisti. Vorrei soltanto che fosse sempre più una professione seria e sempre meno un ritrovo di gente che si para il culo a vicenda, quando Il reato c'è.
L'intera vicenda non può essere considerata in modo parziale, hai perfettamente ragione. Per questo il nodo centrale non è soltanto la 'libertà di opinione', ma bensì la libertà di opinione espressa dal singolo oppure dal gruppo.
RispondiEliminaNon poteva non ritornarmi in mente la lezione della Weil nel suo "La prima radice". Ne ho scritto, anni fa, nel mio blog. Ne estrapolo qualche parte: mi sembra utile alla riflessione:
"Libertà d'opinione.
Per Simone Weil esso corrisponde ad un bisogno assoluto per l’ intelligenza e, conseguentemente, dell’anima, la quale prova sofferenza quando l’ espressione dell’ intelligenza viene ostacolata.
In un’ anima sana l’ intelligenza si esercita in tre diversi modi, di volta in volta caratterizzati da gradi di libertà diversa. Esiste un’ intelligenza applicabile a problemi tecnici, che cerca mezzi per il perseguimento di uno scopo prefissato; una che fornisce chiarimenti di volontà nel compimento di scelte; ed una puramente teorica e non indirizzata a materia pratica.
Applicando la sua teoria filosofica dell’ intelligenza ad una società utopizzata sana, S.W. auspica, nel campo della stampa, una riserva di libertà assoluta, ma condotta in modo tale che ciò che si pubblica non coinvolga per nessuna ragione l’ autore e non contenga alcun consiglio per chi legge.
Voglio porre nuovamente l’ accento sul momento storico in cui la filosofa operava: siamo a cavallo di due conflitti mondiali. Le pubblicazioni destinate ad influire sull’ opinione pubblica, costituiscono veri e propri atti ed, in quanto tali, devono essere sottoposti allo stesso giudizio, ed eventuali restrizioni, cui tutti gli altri atti vengono sottoposti.
“In altre parole, esse non devono recare alcun danno illegittimo a qualsiasi essere umano, e soprattutto non devono contenere alcuna negazione, esplicita od implicita, degli obblighi eterni verso l’ essere umano, dal momento che questi obblighi sono stati solennemente riconosciuti dalla legge.”
In estrema sintesi, e per necessità di semplificazione del sottilissimo pensiero weiliano, possiamo affermare che Simone distingue nettamente la libertà di opinione del singolo autore, che dev’ essere illimitata, da quella del gruppo (stampa quotidiana, settimanali, riviste), in quanto necessariamente centri di irradiazione di determinati punti di pensare.
Si spinge ad estendere questo suo assunto fino alla letteratura. 'Nella vita morale del paese il posto che un tempo era occupato dai preti apparteneva a fisici e romanzieri, fatto, questo, sufficiente a mostrare il valore del nostro progresso. Ma se gli scrittori dovessero render conto dell’ orientamento della loro influenza, essi si rifuggerebbero indignati dietro il sacro privilegio dell’ arte per l’ arte.'
Il bisogno stesso di libertà, essenziale per l’ intelligenza, esige una protezione contro la propaganda, l’ ossessionante influenza, la suggestione.
[... la televisione, poi...]
'Tutti i problemi concernenti la libertà d’ espressione si chiariscono, in genere, quando si sia stabilito che quella libertà è un bisogno dell’ intelligenza e che l’ intelligenza risiede soltanto nell’ essere umano, individualmente considerato. L’ intelligenza non può essere esercitata collettivamente.' "
Grazie Sirio
EliminaIn particolare, nella seconda parte della risposta a Lillina c'è una certa assonanza con la maggiore concessione d'espressione dovuta al singolo individuo (fino all'anarchia del pensiero artistico), piuttosto che a un gruppo organizzato, comunque di maggior potere e influenza; quindi da richiamare maggiormente al rispetto delle regole.