Non sono un vegano e nemmeno un vegetariano. Ho una
concezione decisamente antropocentrica del mio stomaco. Se io oggi sto qua,
insieme al mio apparato digerente, è perché in passato i miei antenati hanno
saputo avvantaggiarsi della loro onnivoracità. Al punto che, tra un animalista
e un cacciatore, l’amigdala dei miei succhi gastrici trova un retaggio di
confidenza con il secondo e prova una certa diffidenza verso il primo (come
verso ogni estrem-ismo, del resto).
Ho detto questo, non perché voglia dibattere su cosa l’uomo
farebbe bene a mangiare per ricercare l’armonia con le altre specie viventi del
pianeta. La premessa serve solo a chiarire che non ho alcun astio “filosofico-esistenzialista”
verso i “cacciatori”. Da che mondo è mondo, esistono civiltà nelle quali i “procacciatori
di carne” offrono il loro servizio: cacciano appunto la carne a favore (pro)
della comunità. Se qualche individuo – o addirittura un’intera comunità – non vuole
avvalersi del loro apporto, liberissimi di non avvalersene.
Quindi, secondo la mia idea, in tempi lontani (o in distanti
civiltà contemporanee) il cacciatore andava a procurare la carne armato di
lancia, arco e frecce. Poi i procacciatori di carne hanno migliorato i propri
metodi, diventando allevatori. Oggigiorno, per fugare qualsiasi ipocrisia della
filiera produttiva, di fatto i cacciatori sono i macellai: quando vado a
comprare una fetta di carne, sono sempre ben consapevole che non è cresciuta su
un albero, ma è costata la vita di un animale.
Anche dentro una linda pellicola trasparente di una busta d’affettati,
io vedo l’animale ucciso. Per me è un modo per rimanere cosciente del fatto che
dietro una cotoletta o un carpaccio, c’è stata una bestia uccisa, ad
opera di chi ha cacciato per mio conto. Il sangue sulle mani ce l’ho anch’io,
che mi piaccia o no. A me piace, cotta al sangue, e mi ci faccio pure la
scarpetta.
Esistono inoltre i cultori della tradizione venatoria, ovvero
i cacciatori che perpetuano la passione di andare personalmente a procurarsi la
carne, impallinando animali. Personalmente non reputo la caccia uno sport, non
l’ho mai praticata (anche perché il macellaio caccia già per me i tagli scelti
di carne) e, dipendesse dal mio interesse per tale attività, potrebbero
eliminarla oggi stesso. Reputo però che, non essendo tutti fatti allo stesso
modo, chi vuole cacciare debba essere libero di poterlo fare.
Al posto di chi è contrario alla caccia, invece di
contrapporre ai cacciatori un ostruzionismo un poco fanatico, mi concentrerei
su due punti, uno regolamentare e uno concettuale.
Innanzitutto, partendo dall’ineludibile dato di fatto delle
Vittime della Caccia, vorrei proibita la caccia in qualunque ambito
territoriale che anche solo lontanamente mette a repentaglio l’incolumità
fisica di chi è estraneo alla battuta di caccia, ovvero la “selvaggina umana involontaria”.
Ritengo fondamentale, in ogni faccenda, distinguere da ciò
che si vorrebbe nel mondo della propria dittatura personale (nel mio abolirei
la caccia, ritenendo quanto meno opinabili gli aggettivi di “ludico” e “sportivo”
riferiti a questa attività), da ciò che è invece ragionare, con maggiore
oggettività possibile, in una società di relazioni, nella quale, evidentemente,
non siamo tutti uguali e non la pensiamo allo stesso modo. Però il diritto di
ciascuno dovrebbe cessare nel momento in cui lede i diritti primari (tra questi
la salvaguardia dell’incolumità fisica) degli altri.
Se i cacciatori vogliono esercitare un loro diritto
venatorio, si organizzino per andare a caccia soltanto in riserve private del
tutto estranee a luoghi abitati o frequentati da altri esseri umani. Perché se un
cacciatore mira a una beccaccia e cava un occhio a uno che passeggia lungo un
lago, allora voglio l’abolizione della caccia e un bel po’ di galera.
Ovviamente a pane e acqua, niente carne.
Inoltre, sotto l’aspetto motivazionale, a me un cacciatore
non deve addurre giustificazioni per imbracciare un fucile. Faccia pure, purché
in tenute recintate e private, nelle quali rischia di colpire soltanto esseri
umani imbraccianti un fucile. Però eviti di venirmi a raccontare la puttanata secondo
la quale la pratica della caccia lo mantiene virilmente in contatto con un ancestrale
ambiente primitivo nel quale ogni uomo doveva procurarsi direttamente il
proprio cibo. Mi eviti fregnacce d’epica silvestre, sprezzante del pericolo.
Non mettermela sul piano della dignità antropologica della
caccia, perché sennò poi ti ci tengo sul piano antropologico. Se reputi la
caccia un’eredità di Diana cacciatrice, àrmati di arco e frecce e vai nella
foresta a caccia di lupi, non limitarti a sparare ad anatre, quaglie e leprotti. Oppure, per un confronto ad armi pari, muniamo le anatre di
bombe a grappolo e le lepri di mitra con mirino laser.
I tre africani nel video sono cacciatori nel senso
antropologico del termine: sfida per necessità di sopravvivenza. Manco lo sanno
chi fosse Diana cacciatrice. Non c’è dicotomia, non c’è bisogno d’emulazione. Loro
sono la Caccia. Tutto il resto sono
soggetti da pantofole e vestaglia, che abbisognano di protesi genitali per
sentirsi discendenti di Artemide. Andateci a caccia, magari di leoni insieme ai
Masai. Magari evitando acqua di colonia come dopobarba e stando sottovento, altrimenti
i gattoni vi sgamano subito.
Andateci pure anche nella selvaggia natura italiana, sprezzanti
delle zone senza campo per i vostri iphone. Andateci, a caccia, ma fatelo in
riserve private, evitando di spacciare un gioco di tiro al bersaglio per un ancestrale
rito d’iniziazione.
Diana cacciatrice, se vi incontra nei boschi, o fa finta di
non conoscervi, o vi scocca un po’ di frecce nel culo.
K.
Ecco l'hai detto quasi alla fine viaggiamo sulla stessa onda, che andassero a caccia di leoni, lo dico sempre a tutti i cacciatori che conosco.
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