Animali più evoluti, come gatti, cani, mammiferi e uccelli
in genere, possiedono invece la capacità di immaginare. Anche l’ape, in
condizioni di relativa tranquillità, è in grado di risolvere il problema. Anche
l’homo oniricus sa immaginare. A
volte il pertugio per volare incontro alla realizzazione dei propri sogni non
riesce a trovarlo, magari perché non esiste proprio. Comunque, l’uomo
immaginifico riesce a sognare soluzioni. Non è colpa sua se le soluzioni sono
in ritardo sulla sua fantastica immaginazione. L’uomo che immagina uno scenario
differente: questa è l’unica condizione per non continuare a dare testate in
eterno nel muro dell’idiozia.
Che si può dire invece dell’homo politicus?
L’uomo politico dovrebbe, quand’è candidato a gestire la
sorte di altri uomini, possedere in sommo grado la capacità di sognare, di
immaginare futuri scenari d’ampio respiro, dovrebbe essere quasi istintivo in
lui, come il dono di un’abilità innata e animalesca, il talento di erigere
stupendi “teatri mentali”. Si verifica invece l’esatto contrario. L’attuale
campagna elettorale ne è l’ennesima dimostrazione.
Una società che vuole davvero rinnovarsi, deve cambiare nei
propri “fondamentali”, ha bisogno di menti maestose, capaci di prefigurare scenari d’opera lirica, epica. Menti al
massimo grado coraggiose, capaci di sostenere e difendere tali architetture di
società civilizzate. Una nuova idea dell’esistere quotidiano, un nuovo progetto
per la simbiosi tra umano, ambiente e qualità della vita, un’impalcatura solida
per edificare il lavoro e il capitale come strumenti e non come fini, un
maestoso concetto di giustizia sociale e di abbattimento delle diseguaglianze
economiche su scala planetaria, transcontinentale (uscendo dagli angusti
confini di “benestante” e “malestante” riferiti a chi risiede sopra o sotto un
fiume, al di qua o al di là della strada: l’approccio è fallimentare in sé), un
piano ambizioso dove non trovino più posto le solite testate nel vetro.
Questo “teatro del mondo”, questo arazzo sociale deve essere
volutamente campato in aria, fortemente ancorato alle nuvole, perché ora
soltanto l’utopia allo stato puro può essere considerata sufficientemente
distante dallo squallore del reale, quindi ad esso credibile alternativa. Immaginare
una società nuova, talmente diversa dalla miseria attuale da esserle stupendamente
estranea, è compito primario di un vero homo politicus. Soltanto così il
cambiamento è incisivo al punto da potersi definire mentalmente rivoluzionario.
Ciò oggi non accade, la parola “rivoluzione” è sulla bocca
di mosconi che sbattono la testa contro il vetro della solita, avvilente commedia del potere. Non c'è un solo
politico che compia il salto di qualità, che sappia librarsi oltre la prigione
di vetro dell’interesse di casta, non uno che proponga una visione ambiziosa,
che prospetti un futuro difficile da realizzare, impresa ben più difficile dell’uscire
dalla congiuntura di una crisi economica. Nessuno che formuli e sostenga un
cambiamento strutturale, dentro il quale ricomporre ogni giuntura altrimenti lussata e scollegata per sempre. E fregandosene finalmente di doverci sempre ridurre a mendicare un
modello francese, un modello tedesco, un modello fiammingo, un modello
canadese, un modello maori, un modello uzbeco.
Osare, osare una inesplorata via che possa poi essere una risorsa,
un modello per gli altri, se ne saranno all’altezza. Questo dovremmo osare.
Invece la politica continua a recitare a soggetto, ad
personam o ad castam, a tornaconto immediato di voti da raccattare, come
mentecatti dell’esistenza, preoccupati a non lasciarsi sfuggire una frase, un
pensiero, un’idea che possano risultare sconvenienti a soddisfare l’ambizione
di potere, incapaci di uscire dalla stitichezza di campare alla giornata di
espedienti e promesse elettorali.
Una tale razza di cervelli asfittici privi di mente, come dei mosconi,
può soltanto generare società a propria somiglianza e mancanza d’immaginazione;
società dove le persone campano, o crepano, tirando avanti alla giornata.
Esistenze mediocri in balia di persone mediocri.
Questa campagna politica è praticamente tutta incentrata
sulla squallida banalità della tassa dell’IMU. Non si discute d’altro, non c’è
una sola boccata d’ossigeno. Il problema non sarà mai risolto poiché per
risolverlo occorre prendere le distanze dalla magagna particolare e, come
aquile, librarsi su una visione più alta del teatro del mondo. Che noi sia
fatta soltanto di parlar di tasse e di soldi con promesse usa e getta. Che non sia soltanto noia collaudata e riciclata. Che sia
fatta invece di un’Idea di come vorreste cambiare il mondo a tutto tondo. Chi
ci crede mi voti, al diavolo gli altri. Ma i capponi non possono farsi
aquile.
I nostri mosconi politici, a differenza dell’insetto, non
hanno l’alibi della cecità immaginifica. Se degli umani non escono dalla comoda
pantomima del teatrino del battibecco politico, è perché nessuno li obbliga a
schiodarsi. A differenza dell’insetto, il moscone politico non è sciagura
soltanto a se stesso: condanna a un’esistenza misera e dalle prospettive
limitate tutti gli esemplari della specie che stanno con lui da questa parte
del vetro; comprese le future generazioni.
Non c’è un solo politico capace di eccitarmi, con discorsi
“sconvenienti”, contrari a ogni buon senso di immediato tornaconto, non ce n’è
uno che abbia il coraggio di sostenere un teatro dell’assurdo con l’incoscienza
di un progetto di cambiamento da perseguire negli anni e non nei primi cento
giorni delle solite balle propagandistiche, non c’è una sola proposta che non sia
fradicia del sudore puzzolente della paura di dire qualcosa che metta a
repentaglio una manciata di voti, non sento una sola voce che dica “Non so che
farmene del tuo voto, votami soltanto se condividi ciò che ho disegnato.”,
magari ridendomi in faccia un bel “Le mie idee, i miei progetti, i miei sogni,
le scenografie teatrali che ho in mente non le baratto in cambio del tuo voto!”.
Siccome non ce n’è uno che parli liberamente, senza il
terrore di dire qualcosa che gli faccia perdere il mio voto, proprio per questo
nessuno di questi politici dimostra sufficiente coraggio per meritarsi il mio voto.
Non votare è, in questo teatrino farsesco, l’unico gesto
serio, di costruttiva utopia futura. Molto più serio del vano sforzo da automa di continuare ad aprire la finestra
a mosconi che non sanno uscire. Che non vogliono saperne di uscire
dal tran tran del loro confortevole campare. I mosconi, fregandosi le ali, se la ridono di chi si affanna ad
aprir loro le finestre, col voto, nella speranza che arrivi l’aria del cambiamento. Può entrare tutta l’aria di buoni propositi verbali. Nei
fatti, i mosconi della nostra politica continuano a recitare l’unica parte che sanno far bene: sbattere inesorabili la testa contro il muro dov'è ingabbiata l'immaginazione.
E noi con loro.
K.
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