Inizia con questa frase lo spot televisivo per ricordare ai telespettatori, pardon, ai possessori
di apparecchio tv, che è giunto il momento di pagare il canone Rai 2013. La frase non ha
alcun vizio di sostanza, rispecchiando quanto contempla la legge: la semplice
detenzione di una tv è sufficiente a giustificare la dovuta imposta. Qualche osservazione
si può piuttosto fare sulla sfacciataggine con la quale questa pubblicità viene sbattuta in faccia ai
detentori di televisione.
Una collaudata
tecnica comunicativa – che rientra nell’ambito della propaganda oppiacea per la quale alcune agenzie pubblicitarie sono
particolarmente avvezze – consiste nel propinare con voce flemmatica, calda e
bonaria, come fosse la cosa più naturale del mondo, un messaggio palesemente offensivo per il pubblico buon senso.
Ammettiamo pure
che si debba pagare un’imposta per un servizio di pubblica informazione. Dico
“ammettiamolo” perché si potrebbe anche avere da obiettare che il “diritto a
informarsi” possa essere trasformato in “dovere di essere informato” (con
relativo obbligo di imposta). Comunque, ammettiamo che pure nell’era di
internet, dello streaming, delle pay per view, si sia tenuti a pagare qualora
si volesse vedere i programmi Rai di pubblica
utilità. Basterebbero a quel punto le normali tasse, con le quali lo Stato gestisce Sanità, Istruzione, ecc.: si aggiunga la voce "Rai servizio pubblico" (???), senza bisogno del canone.
Ma comunque, ammettiamo che il canone abbia motivo di esistere. Anche volendo
essere concilianti, il dato di fatto è evidente, basta accendere il televisore
sui canali Rai: il canone costituisce una imposizione di pagamento atta a
stipendiare individui che sfornano concorsi a premi, varietà da gratta e vinci,
svariati spettacoli d’intrattenimento. Tutti prodotti che hanno ragione
d’esistere nella logica di mercato dei canali commerciali, degli sponsor e
soprattutto della libera scelta del consumatore. Ma che nulla hanno per poter
essere definiti “servizi di pubblica utilità”.
Se qualcuno
reputa Carlo Conti che dispensa soldi a L’eredità,
o Antonella Clerici che fa mostrare (da un’altra, che lei non è buona) come si cucinano
le pappardelle al ragù di fenicottero durante La prova del cuoco, “servizio di pubblica utilità”, di grazia,
illumini anche me. Fino ad allora, io vedo soltanto individui col faccino sorridente,
programmi, e maestranze, tutti accomunati dall’essere virtuosi sovvenzionati statali, gente che campa su stipendi composti
anche da denaro del pubblico, sottratto arrogantemente con forza di legge.
Senza la paghetta del canone, sarebbe bello vederli guadagnarsi da vivere (fonte: pagina sito Rai) |
A questo serve il
canone Rai: a foraggiare una delle tante forme di parassitismo sociale che infesta il tessuto della società.
Fa purtroppo parte della nostra mentalità, trasformare in folclore nazionale tutto ciò che non funziona, e accettare come sensata una palese presa per il culo del buon senso del pubblico, ovvero del pubblico buonsenso.
Visto che la Rai
propone una gamma di prodotti del tutto estranei al pubblico servizio, e visto
che il canone va pagato per il semplice fatto di possedere un televisore, e
visto altresì che il canone non è altro che un’imposta per sovvenzionare l’assistenzialismo
di Stato nel settore dell’intrattenimento televisivo, avrei una proposta equa e
intelligente.
Perché non
usciamo dalle ristrettezze del canone Rai e chiediamo l’istituzione di una imposta
permanente a prescindere? Propongo la TARSE: Tassa A Rotazione Sugli
Elettrodomestici.
Un anno tassiamo
i detentori di forno a microonde, l’anno dopo mettiamo l’imposta su chi
possiede una lavastoviglie, l’anno successivo facciamo pagare un canone a chi ha
in casa una lampada liberty (ma sì dai, elettrodomestica pure lei). In questo modo, senza svantaggiare nessuno, a
rotazione siamo tutti chiamati (obbligati) a finanziare i posti di lavoro dei
vari settori degli elettrodomestici, non soltanto quello degli apparecchi
televisivi. Se la regola è che gli stipendi dobbiamo pagarglieli noi, non vedo
perché un lavoratore di Mediaworld (non di Mediaset) o di Indesit debba essere
penalizzato rispetto a uno della Rai.
Ovviamente non dovrà
mancare l’anno del canone per dare impulso al mercato del vibratore elettrico. Potremo
liberamente scegliere se usarlo per ravvivare la maionese o per rassodare le
guanciotte di un bimbo nella culla con massaggio vibrante.
Intanto, funziona
come per il televisore: non importa l’uso che ne facciamo, importa solo che cacciamo il grano. Nel culo, del resto, sarà difficile impiegarlo. Il canale è già occupato dal canone Rai e
dal maxischermo di traverso. E da tutti i parassiti che vi campano. A nostre
spese.
K.
Col passaggio al digitale terrestre dalle mie parti non si vedeva un cavolo....mi è sempre pesato pagare il canone, stavolta ancora di più visto che la qualità del servizio è stata pessima.
RispondiEliminaNon ti permettere più a suggerire l'introduzione di nuove tasse, metti che qualcuno ti prenda sul serio e che non le applichi a rotazione come suggerisci ma a pacchetti come la mettiamo? Devo salire a Milano a prenderti a scarpate? :)
Sai che ci pensavo pure io al concreto rischio che qualcuno ci faccia un pensiero sulla TARSE? (Magari tua nonna lavatrice - fosse stata ancora parte del nucleo familiare - sarebbe stata esentata per limite d'età, come per il canone. Ma oramai... sigh.)
EliminaA che scopo possedere un oggetto che produce merda?
RispondiEliminaÈ vero.
EliminaPerò se io voglio mettermi in casa un "produttore di merda", vorrei essere libero di poterlo fare, senza dover rendere conto se e come lo utilizzo, visto che lo si considera un elettrodomestico come tanti altri (perché una tv mica serve per vederci canali e programmi... "Qualunque cosa tu faccia").