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venerdì 22 febbraio 2013

Le Brigate Fringuello (dell'argomentar per rutti)

In certe culture il rutto è gesto d’educazione. Dico questo, forte di una formazione culturale che poggia anche su “Indiana Jones e il tempio maledetto”. Di mio, anche durante un pranzo nostrano non mi scandalizzo se odo o se mi scappa inavvertitamente un rutto. È comunque una fisiologica manifestazione di un apparato digerente che sta svolgendo le proprie oneste e utili mansioni. Magari non occorre proprio ostentarlo, ma ci sta che ogni tanto ci scappi un rutto, che non intralcia un piacevole conversare. Preoccupante sarebbe invece la situazione nella quale si diventa testimoni di un ruttare senza soluzione di continuità.

È un po’ ciò cui si assiste nei botta e risposta dei commenti sui social network; anche nei blog ogni tanto si ricevono dei rutti in faccia, ma capita con minore frequenza. Accade ad esempio su Facebook che a un post iniziale (sia esso un breve testo, un link, una immagine) faccia seguito uno strascico di rutti aforistici. Si inizia con l’andare presto fuori tema, si finisce quasi immancabilmente col ruttare offese in faccia a tutti, senza più sapere cosa sia il buon gusto di auto imbavagliare la propria volgare stupidità, con un tovagliolo o con la mano davanti la bocca, a zittirsi per fare un favore agli altri e a un minimo di propria dignità da salvaguardare, sempre ad avercela.

Tra tutti i ruttatoi sociali, Twitter è indubbiamente il più allettante. Non esattamente per colpa sua, povero uccellino, ma perché l’originalità di questo social network sta proprio nell’imposta stringatezza di caratteri utilizzabili. Si potrebbe ugualmente utilizzarlo per postare immagini o link, ma è fortissima la tentazione di abusarne per l’uso principale: 140 caratteri per scrivere le proprie sparate rende lo spaccio d'intelligenza più stringatamente a portata di tutti. Insomma, Twitter è una manna per gli amanti del rutto comunicativo, libero e seriale.

Offre anche, Twitter, un’ottima fotografia dello spaccato di serietà della contemporanea comunicazione politico-sociale. Siamo in campagna elettorale, e la maggiore novità di queste elezioni 2013 è rappresentata dall’abbondante uso di Twitter da parte delle forze politiche, con profili di partito e personali. È forse la più tangibile innovazione del “pensiero politico” italiano. Il che la dice tutta sull’involuzione del costume di pensare e della capacità di costruttivo sforzo intellettuale. La politica attuale può esprimere su Twitter la sua naturale vocazione ad argomentar per slogan, battutine, aforismi, frasi fatte farcite di boriose, inappuntabili e inconfutabili dichiarazioni d’intenti. Non importa argomentare, spiegare, dibattere. Ciò che conta è affermare se stessi, monchi nei pensieri e storpi nelle idee. Intanto, 140 caratteri a saperseli giocare bene sono sufficienti a dare la parvenza di un pensiero compiuto e bastante a se stesso.

Basta farselo andare bene, e Twitter può essere entusiasticamente spacciato come un fenomenale strumento per entrare direttamente in contatto con l’elettorato. Evviva! Con Twitter possiamo illuderci di essere tutti uguali, leader di partito e ultimo degli stronzi. Perché con Twitter chiunque può ruttare in faccia a chiunque altro il proprio irreprensibile slogan di verità. Una volta calatisi nel teatrino dei ruttini, ci si può prendere seriamente. I politici affidano a Twitter smentite, repliche, rettificazioni, spacciando per strumento di confronto democratico quello che di fatto è soltanto un battibeccare in chat tra soggetti adolescenziali che (dio non ci scamperà) decideranno delle sorti delle nostre esistenze.
Twitter e i social network in genere, sono l’unico appariscente pretesto col quale gli stessi pensatori di sempre tentano di spacciarsi per moderni e innovatori, semplicemente spruzzando di un nuovo colore di layout le perenni ragnatele di cervelli in formato 140 neuroni.

Ho scoperto insospettabili, autorevoli opinionisti, vivere Twitter come un luogo del cazzeggio permanente, ruttando simpatiche battutine e stralci di ragionamento, prontamente ripresi da qualche altro fringuello che va subito a scacazzarli in testa ad altri volatili, possibilmente in forma peggiorata.
Ancor più ai fan e ai seguaci dei rispettivi capiaccount, Twitter offre un servizio insperato. In una gara di comunicar per rutti, è tutto un ritwittare brandelli di frasi estrapolate, offese gratuite, imposizioni di personali verità assolute. Fa certamente felice un sociologo, osservare come il follower-tipo di una tribù partitica, concepisca i propri tweet, prima ancora per esprimere un aforisma di pensiero, per il preciso scopo di compiacere il proprio capo. Lo scopo non è affermare, seppure entro limiti angusti, una propria sequenza di parole. Lo scopo è rendersi retwittabili. Bisogna sempre metterci la chiocciolin@, dentro il tweet, che l’interessato sappia per certo che un supporter ha appena emesso un nuovo rutto. A fanatico sostegno o a lapidaria contrapposizione, con fare degno di "sordità talebane", ma comunque rutto raccomandato in attesa di rutto di ritorno. Si leggono toni d'indignazione e velleità partigiane, nel senso di parteggiare per questo e contro quello, con fare tra il brigatismo e il brigantismo. Il tutto nell’indolenza verso ogni sforzo per concepire ed esporre pensieri compiuti, nel timore che il pensar troppo procuri emicrania, seguita da crampi atroci alla muscolatura metacarpale (non a forza di farsi seghe mentali, ma a forza di digitare periodi grammaticalmente passabili).

Ecco, in questa comunicazione per rutti è forse l’unica novità di regresso del relazionarsi tra umani, in generale, peggio ancora nell’argomentar di politica, e pessimamente sotto campagna elettorale.
Queste brigate del fringuello, con i loro meteorismi di bocca, sono rivelatrici di un malessere sociale non di poco conto. Una continua sequela di rutti è sintomo di problemi all’apparato digerente. Un compiaciuto e convinto far politica e comunicar per rutti, è indizio di preoccupante dissesto nell’apparato relazionale della Società2.0.

Adesso vado a postare sul blog, diffondendo sugli aggregatori sociali, quindi condividendo sui social network. Vado pure a fare un tweet, dove qualche ruttino fisiologico ogni tanto scappa anche a me. Ma appena possibile sfrutto i 140 caratteri per allegarci il link che rimanda a un testo sviluppato e argomentato. Che sia condivisibile o meno poco importa, ciò che conta è che sia argomentativamente replicabile.
E comunque vale anche per me: se capitasse che twitto troppo, non sto comunicando di più, sto soltanto ruttando la mia avvilente e cattiva digestione nel rapportarsi con gli altri.

K.

2 commenti:

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