È un po’ ciò cui si assiste nei botta e risposta dei
commenti sui social network; anche nei blog ogni tanto si ricevono dei rutti in faccia, ma capita con minore frequenza.
Accade ad esempio su Facebook che a un post iniziale (sia esso un breve testo,
un link, una immagine) faccia seguito uno strascico di rutti aforistici. Si
inizia con l’andare presto fuori tema, si finisce quasi immancabilmente col
ruttare offese in faccia a tutti, senza più sapere cosa sia il buon gusto di
auto imbavagliare la propria volgare stupidità, con un tovagliolo o con la mano
davanti la bocca, a zittirsi per fare un favore agli altri e a un minimo di
propria dignità da salvaguardare, sempre ad avercela.
Tra tutti i ruttatoi sociali, Twitter è indubbiamente il più
allettante. Non esattamente per colpa sua, povero uccellino, ma perché
l’originalità di questo social network sta proprio nell’imposta stringatezza di
caratteri utilizzabili. Si potrebbe ugualmente utilizzarlo per postare immagini
o link, ma è fortissima la tentazione di abusarne per l’uso principale: 140
caratteri per scrivere le proprie sparate rende lo spaccio d'intelligenza più stringatamente a portata di tutti. Insomma, Twitter è una manna per gli
amanti del rutto comunicativo, libero e seriale.
Offre anche, Twitter, un’ottima fotografia dello spaccato di
serietà della contemporanea comunicazione politico-sociale. Siamo in campagna elettorale, e la
maggiore novità di queste elezioni 2013 è rappresentata dall’abbondante uso di
Twitter da parte delle forze politiche, con profili di partito e personali. È
forse la più tangibile innovazione del “pensiero politico” italiano. Il che la
dice tutta sull’involuzione del costume di pensare e della capacità di
costruttivo sforzo intellettuale. La politica attuale può esprimere su Twitter la sua naturale vocazione ad argomentar per slogan, battutine, aforismi, frasi fatte farcite di boriose, inappuntabili e inconfutabili dichiarazioni d’intenti. Non importa argomentare, spiegare, dibattere. Ciò
che conta è affermare se stessi, monchi nei pensieri e storpi nelle idee.
Intanto, 140 caratteri a saperseli giocare bene sono sufficienti a dare la
parvenza di un pensiero compiuto e bastante a se stesso.
Basta farselo andare bene, e Twitter può essere
entusiasticamente spacciato come un fenomenale strumento per entrare
direttamente in contatto con l’elettorato. Evviva! Con Twitter possiamo
illuderci di essere tutti uguali, leader di partito e ultimo degli stronzi.
Perché con Twitter chiunque può ruttare in faccia a chiunque altro il proprio
irreprensibile slogan di verità. Una volta calatisi nel teatrino dei ruttini, ci
si può prendere seriamente. I politici affidano a Twitter smentite, repliche,
rettificazioni, spacciando per strumento di confronto democratico quello che di
fatto è soltanto un battibeccare in chat tra soggetti adolescenziali che (dio non
ci scamperà) decideranno delle sorti delle nostre esistenze.
Twitter e i social network in genere, sono l’unico
appariscente pretesto col quale gli stessi pensatori di sempre tentano di
spacciarsi per moderni e innovatori, semplicemente spruzzando di un nuovo
colore di layout le perenni ragnatele di cervelli in formato 140 neuroni.
Ho scoperto insospettabili, autorevoli opinionisti, vivere Twitter come un luogo del cazzeggio permanente, ruttando simpatiche battutine e stralci di ragionamento, prontamente ripresi da qualche altro fringuello che va subito a scacazzarli in testa ad altri volatili, possibilmente in forma peggiorata.
Ancor più ai fan e ai seguaci dei rispettivi capiaccount,
Twitter offre un servizio insperato. In una gara di comunicar per rutti, è
tutto un ritwittare brandelli di frasi estrapolate, offese gratuite,
imposizioni di personali verità assolute. Fa certamente felice un sociologo,
osservare come il follower-tipo di una tribù partitica, concepisca i propri
tweet, prima ancora per esprimere un aforisma di pensiero, per il preciso
scopo di compiacere il proprio capo. Lo scopo non è affermare, seppure entro
limiti angusti, una propria sequenza di parole. Lo scopo è rendersi
retwittabili. Bisogna sempre metterci la chiocciolin@, dentro il tweet, che
l’interessato sappia per certo che un supporter ha appena emesso un nuovo
rutto. A fanatico sostegno o a lapidaria contrapposizione, con fare degno di "sordità talebane", ma comunque rutto
raccomandato in attesa di rutto di ritorno. Si leggono toni d'indignazione e velleità partigiane, nel senso di parteggiare per questo e contro quello, con fare tra il brigatismo e il brigantismo. Il tutto nell’indolenza verso ogni
sforzo per concepire ed esporre pensieri compiuti, nel timore che il pensar
troppo procuri emicrania, seguita da crampi atroci alla muscolatura metacarpale
(non a forza di farsi seghe mentali, ma a forza di digitare periodi
grammaticalmente passabili).
Ecco, in questa comunicazione per rutti è forse l’unica
novità di regresso del relazionarsi tra umani, in generale, peggio ancora
nell’argomentar di politica, e pessimamente sotto campagna elettorale.
Queste brigate del fringuello, con i loro meteorismi di
bocca, sono rivelatrici di un malessere sociale non di poco conto. Una continua
sequela di rutti è sintomo di problemi all’apparato digerente. Un compiaciuto e
convinto far politica e comunicar per rutti, è indizio di preoccupante dissesto
nell’apparato relazionale della Società2.0.
Adesso vado a postare sul blog, diffondendo sugli
aggregatori sociali, quindi condividendo sui social network. Vado pure a fare un tweet, dove qualche ruttino
fisiologico ogni tanto scappa anche a me. Ma appena possibile sfrutto i 140
caratteri per allegarci il link che rimanda a un testo sviluppato e
argomentato. Che sia condivisibile o meno poco importa, ciò che conta è che sia
argomentativamente replicabile.
E comunque vale anche per me: se capitasse che twitto troppo, non sto comunicando di più, sto soltanto ruttando la mia avvilente e cattiva digestione nel rapportarsi con gli altri.
K.
da cornice. l'ho segnalato nel mio blog
RispondiEliminaQuando la cornice vale più del quadro.
EliminaGrazie.