Pagine

domenica 17 marzo 2013

Grillo e il telecomando del televoto

Siccome il M5S adotta come esclusivo canale di comunicazione i social network, per cogliere qualche impressione in più, s’ha da andare dove va la notizia. Ci sono i post del blog di Beppe Grillo e i tanti 140caratteri su Twitter. Tanto per dare un'idea, ne riprenderò con copia-incolla uno di Claudio Messora (video blogger che fa cronaca sul campo, attento alle vicende d’attualità e anche al fenomeno M5S), seguito all’elezione di Pietro Grasso alla presidenza del Senato. Grasso ha avuto la meglio su Schifani grazie a 12 voti in più rispetto a quelli garantiti dai senatori di CentroSinistra e da un paio di singoli altri. Quei 12 voti vengono attribuiti “a rigor di logica” a senatori del M5S. La certezza manca, trattandosi di voto segreto.

Dopo il voto Beppe Grillo ha messo online questo post: Trasparenza e voto segreto.
È un comunicato scarno che va subito al sodo su due concetti:
punto 1) Il voto segreto non ha senso, l'eletto deve rispondere delle sue azioni ai cittadini con un voto palese.
punto 2) nel Codice di Comportamento degli eletti del M5S sta scritto “Votazioni in aula decise a maggioranza dei parlamentari del M5S”. Ciascun eletto ha sottoscritto liberamente il codice, quindi è tenuto a restarvi fedeli. In caso contrario, ne tragga le dovute conseguenze. Se interpreto bene la consequenzialità: rassegni le dimissioni poiché ha tradito il mandato elettorale.

Esprimo la mia piccola opinione, che proprio perché è piccola ha grande libertà d’esprimersi, senza calcoli, senza tornaconti, senza che qualcuno mi stia preventivamente sul culo più di altri, senza interesse a criticare una parte piuttosto che l’altra, e senza linee retributivo-editoriali dalle quali essere condizionato.

Punto 1) Non essendo un costituzionalista né un addetto ai lavori, probabilmente tante obiezioni valide potranno farmi correggere il parere, ma, in linea di massima, sul fatto di preferire il più possibile il voto palese al voto segreto, la penso come Beppe Grillo. Penso che il voto segreto sia strumento fondamentale per garantire intatto il libero esercizio della volontà decisionale, in tutte quelle situazioni politiche dove pressioni, condizionamenti ed eventuali ritorsioni, anche traumatiche, possano fortemente inibire il votante dall’esprimersi secondo coscienza. Si pensi a un voto in condizione di regime più o meno dittatoriale o di clima sociale e politico intimidatorio. Dentro una Repubblica parlamentare che tutela i diritti di libero pensiero e libera scelta, il voto politico dovrebbe essere il più possibile palese, trasparente e, quindi, responsabilizzante. Appunto per rendere conto della bontà del proprio operato ai propri datori di lavoro: gli elettori. La palese disfunzione tra vera volontà segreta e falsa apparenza d’intenzione è dimostrata dal fatto che, al momento del verdetto d’elezione di Pietro Grasso, pare che nessuno dei senatori del M5S abbia applaudito: così i presunti 12 elettori segreti hanno mantenuto nascoste le loro scelte incoerenti con le direttive del Movimento.
Ieri sera ascoltavo in un dibattito televisivo che, nel caso di voto non tanto su una proposta di legge, ma per l’elezione di una persona (Grasso o Schifani), la segretezza del voto è richiesta dal maggior bisogno di garantire la libertà d’espressione di una maggiormente probabile divergenza di ogni singolo elettore dalla linea di partito (è quella che si chiama “libertà di coscienza”).
Comprendo l’eventuale eccezione, ma, sarò gnucco, resto dell’idea che un uomo politico e un parlamentare in primis debbano avere, tra le qualità che caratterizzano la loro professione, la capacità di assumersi le proprie responsabilità e il coraggio di fare le proprie scelte, individuali e non massificate a priori, senza bisogno di nascondersi dietro la segretezza di un non-applauso. Un parlamentare dovrebbe sempre privilegiare la scomodità di dire e fare ciò che pensa, anziché la comodità di nascondersi dietro una tenda.

Purtroppo, se si ha paura del voto palese, il timore non è dettato da ritorsioni di pestaggio, reclusione o deportazione, come sotto le dittature. La paura è quella che incute la direzione di partito, si temono ritorsioni a danno della propria carriera, evidentemente. Significa anteporre la salvaguardia del proprio interesse personale a quella che vuole il parlamentare salvaguardia dell’interesse collettivo. Significa che, in fondo, non si ripone molta fiducia nel diritto di far valere le proprie ragioni, in caso di eccezionale votazione in attrito con le direttive, davanti ai colleghi di partito, e si dubita della capacità di ascolto e apertura mentale dei quadri dirigenti.

Punto 2) Anche qua sono d’accordo con Grillo. Si possono avere mille obiezioni, e a me non piace l’idea che debba sempre prevalere il voto a maggioranza. Se su 10 persone 6 votano sempre rosso e le altre 4 verde, risulteranno sempre 10 voti ufficiali a favore del rosso. Il che banalizza democraticamente l'essere umano. Nemmeno mi piace l’idea che ci si debba annullare come soggetti sull’accettazione di un simile contratto preelettorale. Infatti, magari sceglierei liberamente di non firmarlo. Ma il dato di fatto è uno solo: chi sottoscrive un accordo, liberamente, ha poi il dovere di onorarlo, altrimenti ne paga le conseguenze. Grillo non fa epurazione, Grillo non fa atto di prepotenza. Grillo richiama (vorrebbe richiamare, sapesse chi sono) quelli che sono venuti meno a un accordo firmato, a prendere atto del decadimento del contratto stesso. Esige che si dimettano e ha pienamente ragione.


Quindi sui singoli due punti, concordo con Grillo. Adesso proviamo a miscelare le due affermazioni. Per poter applicare il voto sempre palese, occorre avere a che fare con parlamentari con “le spalle larghe”, che si sono fatti le ossa nella gavetta della vita politica (fossero anche scaltri mestieranti di carriera, a maggior ragione la trasparenza del voto ridurrebbe il loro margine di manovra nei sotterfugi segreti). Nella specificità del Movimento Cinque Stelle, siamo di fronte a parlamentari catapultati per la maggior parte da ordinari impegni di vita privata agli scranni di Montecitorio. Non solo: sono degli agenti monomandatari che hanno sottoscritto un contratto con il M5S, in base al quale è fatto loro divieto di prendere iniziative non in linea con ogni singola delibera a maggioranza. Diventa decisamente più impegnativo debuttare ai massimi livelli, dovendo possedere anche quella capacità di agire in libera scelta trasparente durante una votazione.

In un Movimento che ha dato più segnali di essere condizionato dalle direttive dei vertici, la mia sensazione (che vale uno in quanto mia, opinabile ma irrinunciabile) è che, in linea di principio, l’affermazione di Grillo sia condivisibile, ma, rapportata al dato reale, suonerebbe più o meno così:

-io ho fatto firmare un contratto di lavoro parlamentare a 163 persone
-queste 163 persone devono fare come previsto dal contratto
-il voto segreto mi espone al rischio che qualcuna di queste 163 persone si sottragga alle indicazioni ricevute
-il voto palese mi garantisce la certezza di sapere chi posso licenziare non appena sgarra

Lo dico diversamente.
Io credo nella positività del voto palese, affinché ogni parlamentare esprima in limpida assunzione di responsabilità la propria opinione, dentro partiti mentalmente disposti a riconoscere motivate, eccezionali divergenze dalla linea di maggioranza.
Beppe Grillo vuole il voto palese per poter esercitare il pieno controllo sulle scelte dei "propri" parlamentari.
Ecco che, facendo non uno vale uno, ma uno più uno di due innocue affermazioni, io con Grillo non concordo più. Perché non mi garba l'idea (posso dire che non mi garba, visto che non sono sotto contratto con l'Agenzia di collocamento parlamentare Casaleggio&Grillo e non rischio il licenziamento?) che un privato cittadino, fuori dalle istituzioni, cliccando sul telecomando, comodamente dal divano di casa, abbia la certezza matematica di accendere 163 lucine tutte verdi o tutte rosse sul pannello di votazione del Parlamento.
Sarà che ho una concezione differente del libero arbitrio dell'individuo, dove uno vale un cervello pensante e non vale uno come un altro qualsiasi uno. Altrimenti, se occorre solo andare telecomandati a pigiare un bottone, si può mettere chiunque a fare il parlamentare. Oppure si può fare una derivazione via cavo scranniMontecitorio-casaGrillo visto che dibattere e discutere costituiscono noiosa perdita di tempo, oppure basta anche un iphone per dirigere la vita politica del Paese.

Quando c'è stata l'alzata di mano per scegliere il server per gli account di posta parlamentari, scommetto che non è arrivato il No preventivo che mette in guardia 163 Si allorché c'è da votare qualcosa di serio.

Riporto dall'atto costitutivo del Movimento Cinque Stelle: "Spettano quindi al signor Giuseppe Grillo (Presidente, ndr) titolarità, gestione e tutela del contrassegno.” Ora interpreto a modo mio quel serenamente:  voi votate pure come volete, ma io vi tolgo marchio e nome del movimento e vi lascio con il culo per terra, una mano davanti e una dietro. Serenamente però.

Penso che (lo penso in malafede, ovvio) Beppe Grillo e chi per lui non versino lacrime per la tradita volontà degli elettori. Penso che Beppe Grillo trasudi rabbia perché qualcuno è venuto meno alle sue disposizioni manageriali. E il voto segreto lo rende un poco impotente nel poter prendere provvedimenti d’espulsione.

Questi due punti sono per me emblematici di un modo di fare che rischia di essere limite cronico e invalidante dell’esperienza M5S. Beppe Grillo può anche affermare che uno vale uno, volendo far credere che le scelte sono fatte in trasparenza democratica. Però dovrebbe capire che per le idee e i concetti non vale lo stesso principio dell’una vale una. Chissà com’è che presa singolarmente ogni asserzione di Grillo risulta spesso condivisibile e a volte ineccepibile. Però, per costruire qualcosa di complesso e strutturato, come un programma politico deve essere, le singole affermazioni vanno assemblate e devono stare assieme. Puntualmente, appena si agganciano tra loro due condivisibili singole affermazioni di Grillo, arriva il corto circuito e non sta più insieme nulla.

Questo è un grave vizio di forma e ancor più di sostanza, ovvero pensare che l’alternativa a una cattiva strutturata politica sia il campare alla giornata, buttando in pasto al web delle perle di buoni propositi quotidiani, che però, concatenati, diventano un cappio per chi le ha confezionate.
Oggi ad esempio è la volta della perla sui parallelismi del M5S con il pauperismo di papa Francesco, prendendo un po’ di questo e un po’ di quello. Magari domani si dirà che l'Italia deve emanciparsi dal Concordato col Vaticano. Che facciamo? Valutiamo anche le dichiarazioni di Bergoglio sul valore della figura della donna nella società? Non è che io mi ci diverta più di tanto a criticare Grillo, il fatto è che sono la sguaiataggine polemica e l’approssimazione dilettantistica del blogger Giuseppe Grillo a rivelarsi il peggior nemico boomerang del presidente del M5S, omonimo.

Faccio una considerazione finale, sempre per contestualizzare il tutto. Grillo ha il diritto di cercare di rimuovere gli ostacoli che limitano la possibilità di un privato cittadino e blogger di tenere sotto ferreo controllo l’operato di 163 parlamentari della Repubblica Italiana. Grillo ha tutto il diritto di esigere, in virtù di un accordo firmato, che chi obietta alle direttive della Casa Madre (villa sul litorale ligure) venga radiato dal Movimento.
Basta che a me venga riconosciuto il diritto di ridere a crepapelle ogni qual volta sento pronunciare la frasetta “Nel Movimento Cinque Stelle vige la democrazia per alzata di mano”. Credo poco ai metodi di finta trasparenza dittatoriale per democratica alzata di mano azionata con telecomando, dopo reclutamento con televoto. Ho più simpatia per i seri organigrammi gerarchici fondati su solide competenze.

Riallacciandomi alla prima immagine dei tweet, il voto in dissenso non ha dimostrato che non ci stanno le pile. Dentro il segreto dell’urna, le batterie non hanno funzionato, mentre al momento di applaudire sono tornate a funzionare inibendo l’applauso. Se non ci fossero le pile, ci sarebbe stato l’applauso di 12 parlamentari del M5S. Il voto in dissenso ha dimostrato che esistono pile perché esiste telecomando.
Se ne deduce che il problema non sono le batterie. È il telecomando che si è inceppato, schermato dalle tende al piombo delle cabine di voto, dove per un attimo Beppe Grillo o chi per lui hanno perso il controllo di alcuni presunti robottini. Evidentemente, trattasi di qualche pezzo con software difettoso, non conforme, da far rientrare subito in fabbrica, per sostituirlo (previo dimissioni) con uno nuovo.
Più affidabile, diciamo. E meglio funzionante senza schermature al piombo di voto segreto.

K.

Nessun commento:

Posta un commento

Ai commenti non viene applicata la moderazione.
Ognuno può esprimere educatamente la propria opinione.
All'occorrenza verranno rimossi eventuali commenti offensivi, spam o comunicazioni estranee al post.

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.