Dopo il voto Beppe Grillo ha messo online questo post: Trasparenza
e voto segreto.
È un comunicato scarno che va subito al sodo su due
concetti:
punto 1) Il voto
segreto non ha senso, l'eletto deve rispondere delle sue azioni ai cittadini
con un voto palese.
punto 2) nel Codice di Comportamento degli eletti del M5S sta
scritto “Votazioni in aula decise a
maggioranza dei parlamentari del M5S”. Ciascun eletto ha sottoscritto
liberamente il codice, quindi è tenuto a restarvi fedeli. In caso contrario, ne tragga le dovute conseguenze. Se
interpreto bene la consequenzialità: rassegni le dimissioni poiché ha tradito
il mandato elettorale.
Esprimo la mia piccola opinione, che proprio perché è
piccola ha grande libertà d’esprimersi, senza calcoli, senza tornaconti, senza
che qualcuno mi stia preventivamente sul culo più di altri, senza interesse a
criticare una parte piuttosto che l’altra, e senza linee retributivo-editoriali
dalle quali essere condizionato.
Punto 1) Non
essendo un costituzionalista né un addetto ai lavori, probabilmente tante
obiezioni valide potranno farmi correggere il parere, ma, in linea di massima,
sul fatto di preferire il più possibile il voto palese al voto segreto, la
penso come Beppe Grillo. Penso che il voto segreto sia strumento fondamentale
per garantire intatto il libero esercizio della volontà decisionale, in tutte
quelle situazioni politiche dove pressioni, condizionamenti ed eventuali
ritorsioni, anche traumatiche, possano fortemente inibire il votante dall’esprimersi
secondo coscienza. Si pensi a un voto in condizione di regime più o meno
dittatoriale o di clima sociale e politico intimidatorio. Dentro una Repubblica
parlamentare che tutela i diritti di libero pensiero e libera scelta, il voto
politico dovrebbe essere il più possibile palese, trasparente e, quindi,
responsabilizzante. Appunto per rendere conto della bontà del proprio operato
ai propri datori di lavoro: gli
elettori. La palese disfunzione tra vera
volontà segreta e falsa apparenza d’intenzione
è dimostrata dal fatto che, al momento del verdetto d’elezione di Pietro
Grasso, pare che nessuno dei senatori del M5S abbia applaudito: così i presunti
12 elettori segreti hanno mantenuto nascoste le loro scelte incoerenti con le
direttive del Movimento.
Ieri sera ascoltavo in un dibattito televisivo che, nel caso
di voto non tanto su una proposta di legge, ma per l’elezione di una persona
(Grasso o Schifani), la segretezza del voto è richiesta dal maggior bisogno di
garantire la libertà d’espressione di una maggiormente probabile divergenza di
ogni singolo elettore dalla linea di partito (è quella che si chiama “libertà
di coscienza”).
Comprendo l’eventuale eccezione, ma, sarò gnucco, resto dell’idea
che un uomo politico e un parlamentare in primis debbano avere, tra le qualità
che caratterizzano la loro professione, la capacità di assumersi le proprie
responsabilità e il coraggio di fare le proprie scelte, individuali e non
massificate a priori, senza bisogno di nascondersi dietro la segretezza di un
non-applauso. Un parlamentare dovrebbe sempre privilegiare la scomodità di dire
e fare ciò che pensa, anziché la comodità di nascondersi dietro una tenda.
Purtroppo, se si ha paura del voto palese, il timore non è
dettato da ritorsioni di pestaggio, reclusione o deportazione, come sotto le
dittature. La paura è quella che incute la direzione di partito, si temono
ritorsioni a danno della propria carriera, evidentemente. Significa anteporre
la salvaguardia del proprio interesse personale a quella che vuole il
parlamentare salvaguardia dell’interesse collettivo. Significa che, in fondo,
non si ripone molta fiducia nel diritto di far valere le proprie ragioni, in
caso di eccezionale votazione in attrito con le direttive, davanti ai colleghi
di partito, e si dubita della capacità di ascolto e apertura mentale dei quadri
dirigenti.
Punto 2) Anche
qua sono d’accordo con Grillo. Si possono avere mille obiezioni, e a me non
piace l’idea che debba sempre prevalere il voto a maggioranza. Se su 10 persone
6 votano sempre rosso e le altre 4 verde, risulteranno sempre 10 voti ufficiali
a favore del rosso. Il che banalizza democraticamente l'essere umano. Nemmeno mi piace l’idea
che ci si debba annullare come soggetti sull’accettazione di un simile contratto
preelettorale. Infatti, magari sceglierei liberamente di non firmarlo. Ma il
dato di fatto è uno solo: chi sottoscrive un accordo, liberamente, ha poi
il dovere di onorarlo, altrimenti ne paga le conseguenze. Grillo non fa
epurazione, Grillo non fa atto di prepotenza. Grillo richiama (vorrebbe
richiamare, sapesse chi sono) quelli che sono venuti meno a un accordo firmato, a prendere atto del decadimento del contratto stesso. Esige che si dimettano e ha
pienamente ragione.
Quindi sui singoli due punti, concordo con Grillo. Adesso proviamo a miscelare le due affermazioni. Per poter applicare il voto sempre palese, occorre avere a che fare con parlamentari con “le spalle larghe”, che si sono fatti le ossa nella gavetta della vita politica (fossero anche scaltri mestieranti di carriera, a maggior ragione la trasparenza del voto ridurrebbe il loro margine di manovra nei sotterfugi segreti). Nella specificità del Movimento Cinque Stelle, siamo di fronte a parlamentari catapultati per la maggior parte da ordinari impegni di vita privata agli scranni di Montecitorio. Non solo: sono degli agenti monomandatari che hanno sottoscritto un contratto con il M5S, in base al quale è fatto loro divieto di prendere iniziative non in linea con ogni singola delibera a maggioranza. Diventa decisamente più impegnativo debuttare ai massimi livelli, dovendo possedere anche quella capacità di agire in libera scelta trasparente durante una votazione.
In un Movimento che ha dato più segnali di essere condizionato dalle direttive dei vertici, la mia sensazione (che vale uno in quanto mia, opinabile ma irrinunciabile) è che, in linea di principio, l’affermazione di Grillo sia condivisibile, ma, rapportata al dato reale, suonerebbe più o meno così:
-io ho fatto firmare un contratto di lavoro parlamentare a 163 persone
-queste 163 persone devono fare come previsto dal contratto
-il voto segreto mi espone al rischio che qualcuna di queste 163 persone si sottragga alle indicazioni ricevute
-il voto palese mi garantisce la certezza di sapere chi posso licenziare non appena sgarra
Lo dico diversamente.
Io credo nella positività del voto palese, affinché ogni parlamentare esprima in limpida assunzione di responsabilità la propria opinione, dentro partiti mentalmente disposti a riconoscere motivate, eccezionali divergenze dalla linea di maggioranza.
Beppe Grillo vuole il voto palese per poter esercitare il pieno controllo sulle scelte dei "propri" parlamentari.
Ecco che, facendo non uno vale uno, ma uno più uno di due innocue affermazioni, io con Grillo non concordo più. Perché non mi garba l'idea (posso dire che non mi garba, visto che non sono sotto contratto con l'Agenzia di collocamento parlamentare Casaleggio&Grillo e non rischio il licenziamento?) che un privato cittadino, fuori dalle istituzioni, cliccando sul telecomando, comodamente dal divano di casa, abbia la certezza matematica di accendere 163 lucine tutte verdi o tutte rosse sul pannello di votazione del Parlamento.
Sarà che ho una concezione differente del libero arbitrio dell'individuo, dove uno vale un cervello pensante e non vale uno come un altro qualsiasi uno. Altrimenti, se occorre solo andare telecomandati a pigiare un bottone, si può mettere chiunque a fare il parlamentare. Oppure si può fare una derivazione via cavo scranniMontecitorio-casaGrillo visto che dibattere e discutere costituiscono noiosa perdita di tempo, oppure basta anche un iphone per dirigere la vita politica del Paese.
Riporto dall'atto costitutivo del Movimento Cinque Stelle: "Spettano quindi al signor Giuseppe Grillo (Presidente, ndr) titolarità, gestione e tutela del contrassegno.” Ora interpreto a modo mio quel serenamente: voi votate pure come volete, ma io vi tolgo marchio e nome del movimento e vi lascio con il culo per terra, una mano davanti e una dietro. Serenamente però.
Penso che (lo penso in malafede, ovvio) Beppe Grillo e chi per lui non versino lacrime per la tradita volontà degli elettori. Penso che Beppe Grillo trasudi rabbia perché qualcuno è venuto meno alle sue disposizioni manageriali. E il voto segreto lo rende un poco impotente nel poter prendere provvedimenti d’espulsione.
Questi due punti sono per me emblematici di un modo di
fare che rischia di essere limite cronico e invalidante dell’esperienza M5S. Beppe
Grillo può anche affermare che uno vale uno, volendo far credere che le scelte
sono fatte in trasparenza democratica. Però dovrebbe capire che per le idee e i
concetti non vale lo stesso principio dell’una vale una. Chissà com’è che presa
singolarmente ogni asserzione di Grillo risulta spesso condivisibile e a volte
ineccepibile. Però, per costruire qualcosa di complesso e strutturato, come un programma politico deve essere, le singole affermazioni
vanno assemblate e devono stare assieme. Puntualmente, appena si agganciano tra loro due
condivisibili singole affermazioni di Grillo, arriva il corto circuito e non
sta più insieme nulla.
Questo è un grave vizio di forma e ancor più di sostanza, ovvero pensare che l’alternativa a una cattiva strutturata
politica sia il campare alla giornata, buttando in pasto al web delle perle di buoni propositi quotidiani, che però, concatenati, diventano un cappio per chi le ha
confezionate.
Oggi ad esempio è la volta della perla sui parallelismi del M5S con il
pauperismo di papa Francesco, prendendo un po’ di questo e un po’ di quello. Magari domani si dirà che l'Italia deve emanciparsi dal Concordato col Vaticano. Che facciamo? Valutiamo anche le dichiarazioni di Bergoglio sul valore della
figura della donna nella società? Non è che io mi ci diverta più di tanto a criticare Grillo, il fatto
è che sono la sguaiataggine polemica e l’approssimazione dilettantistica del blogger Giuseppe
Grillo a rivelarsi il peggior nemico boomerang del presidente del M5S, omonimo.
Faccio una considerazione finale, sempre per
contestualizzare il tutto. Grillo ha il diritto di cercare di rimuovere gli
ostacoli che limitano la possibilità di un privato cittadino e blogger di
tenere sotto ferreo controllo l’operato di 163 parlamentari della Repubblica
Italiana. Grillo ha tutto il diritto di esigere, in virtù di un accordo
firmato, che chi obietta alle direttive della Casa Madre (villa sul litorale
ligure) venga radiato dal Movimento.
Basta che a me venga riconosciuto il diritto di ridere a
crepapelle ogni qual volta sento pronunciare la frasetta “Nel Movimento Cinque
Stelle vige la democrazia per alzata di mano”. Credo poco ai metodi di finta
trasparenza dittatoriale per democratica alzata di mano azionata con
telecomando, dopo reclutamento con televoto. Ho più simpatia per i seri organigrammi gerarchici fondati su solide competenze.
Riallacciandomi alla prima immagine dei tweet, il voto in dissenso non ha dimostrato che non ci stanno
le pile. Dentro il segreto dell’urna, le batterie non hanno funzionato, mentre
al momento di applaudire sono tornate a funzionare inibendo l’applauso. Se non
ci fossero le pile, ci sarebbe stato l’applauso di 12 parlamentari del M5S. Il
voto in dissenso ha dimostrato che esistono pile perché esiste telecomando.
Se ne deduce che il problema non sono le batterie. È il
telecomando che si è inceppato, schermato dalle tende al piombo delle cabine di
voto, dove per un attimo Beppe Grillo o chi per lui hanno perso il controllo di
alcuni presunti robottini. Evidentemente, trattasi di qualche pezzo con software
difettoso, non conforme, da far rientrare subito in fabbrica, per sostituirlo (previo dimissioni) con uno nuovo.
Più affidabile, diciamo. E meglio funzionante senza schermature al piombo di voto segreto.
K.
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