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sabato 3 novembre 2012

Rivoluzione

Quando è manifestazione fisica di indignazione ed esasperazione sociale, disposta a perseguire il fine con fare cruento e determinato, la rivoluzione è concetto privo di ambiguità.
Non conosce equivoco. Non è dichiarazione di sdegno, non è ribellione, non è rivolta, non è corteo, non è sciopero con preavviso, non è raccolta di firme d’adesione, non è carosello.
Non conosce aggettivi. Non è scientifica, non è culturale, non è copernicana, non è né russa né francese, non è rumena non è messicana, non è primaverile non è ottobrina.
Non conosce mezze misure. Non è fatta di parole, di nobili discorsi salottieri, di distinguo, di regolamenti, di spavaldo sdegno verbale.
Non conosce romanticismi. Non è fatta né di fantasia né di utopia, non di canzoncine in coro d’osteria né di fazzoletti rossi, non di sentimentalistiche guerriglie esotiche né di bandiere arcobaleno, non di foto d’autore con basco e sigaro.

Tutte queste puttanate le girano attorno, ma nulla hanno a che fare con l’atto rivoluzionario. Vengono prima e vengono dopo, a riempire la bocca, tra un pasticcino e un the caldo, uno sbadiglio e una grattata ai coglioni, di chi pensa che essere rivoluzionario consista nell’applaudire e narrare la morte degli altri.
La rivoluzione, da che mondo è mondo, è fatta di esseri umani che uccidono altri esseri umani, di gente armata come meglio può all’unico scopo di eliminare fisicamente la controparte di donne e uomini contro i quali insorge. Con qualunque mezzo a disposizione, a costo della vita. Rivoluzione è totale rifiuto di compromesso, rivoluzione è distruzione di ogni vaso traboccato, perché la misura è colma e anche l’ultima goccia di pazienza è stata irrisa inascoltata. Rivoluzione è tempo dell'ascolto che s'è esaurito. La rivoluzione non ha più orecchie per intendere. La rivoluzione è azione tragica; le parole melodrammatiche le metterà poi chi sa sporcarsi le mani soltanto d’inchiostro.

Questa è la rivoluzione, ogni rivoluzione, in ogni luogo e in ogni epoca, piccola o grande che sia, sia essa vittoriosa o repressa. La rivoluzione è puro atto, azione finalizzata a ferire, ledere, spargere sangue e uccidere. È lotta armata di popolo, ondata sorda e schifata che spazza via e travolge ogni ostacolo. La rivoluzione è soppressione ed eliminazione fisica; è assenza di legalità, giustizia sommaria, impiccagioni, vendette private, pallottole, coltelli, emorragie, cadaveri, gente ammazzata. La rivoluzione è mossa da determinata consapevolezza. È preciso calcolo che vale la pena rischiare seriamente la propria vita nella speranza di dare la morte a coloro contro i quali ci si rivolta.

Quando si soppesa la concreta possibilità di uccidere con il concreto rischio di morire, quando lo scarto dà segno positivo, allora si è rivoluzionari. I rivoluzionari sono pronti a morire. E puntualmente muoiono, qualunque sia l’esito della rivoluzione. Così è stato, è e sarà in ogni rivoluzione. La rivoluzione è uccidere. Questo è il suo metodo operativo. La morte è lo strumento della rivoluzione. Ogni esito che non sia la soppressione di coloro che hanno vessato al punto da sollevare l’onda rivoluzionaria, costituisce fallimento. Chi si ritiene appagato da uno scenario non cruento, privo di cadaveri al suolo o penzolanti, non è un rivoluzionario. Quando si mette in moto, l’onda rivoluzionaria travolge e lascia cadaveri dietro il proprio passaggio. Questa è la rivoluzione. Un atto di guerra o guerriglia, di azione violenta affamata di morte.

Cosa distingue la rivoluzione da un qualunque ammazzamento? Il fine solitamente nobile che le viene riconosciuto: combattere e rimuovere i grumi umani che alimentano ingiustizie sociali, sfruttamento di una parte sociale sull’altra, oppressione e soppressione di alcuni uomini su altri uomini. È questa intenzione di buoni propositi, di cambiare in meglio le cose, che fa assumere alla parola “rivoluzione” un connotato positivo e innocuo, finanche simpatico col quale trastullarsi i pensieri.
Ma gli eventuali esiti di una rivoluzione, i risultati edificanti o meno, non vanno confusi con l’atto della rivoluzione in sé. La rivoluzione passa inevitabilmente attraverso morti ammazzati da parte di chi è disposto a farsi uccidere pur di poterli ammazzare.

Rivoluzione significa avere ben chiaro che si rischia la vita, propria e dei propri cari, siano mogli, mariti, figlie o figli. Poco importa se si sia favorevoli o contrari alla rivoluzione come strumento di cambiamento sociale. Ciò che conta è avere chiaro come operi quello strumento.
La rivoluzione, quando è, si preoccupa solo di uccidere. I dibattiti sull’etica li faranno i superstiti. Ai rivoluzionari, di campo e non di salotto, frega ben poco della dialettica.
Solo questo è la rivoluzione, niente di meno e, soprattutto, niente di più.

Chi parla di rivoluzione, indignandosi con stupore alla becera idea di uccidere, può fare il rivoluzionario soltanto in qualche sala cinematografica, dove non ci sono schizzi di sangue a macchiare i vestiti.
La rivoluzione è una faccenda di fottere: fottere chi ti ha fottuto al punto di essere pronto a morire pur di poterlo fottere finalmente tu. Chi parla con leggerezza di rivoluzione, sdegnandosi all’idea di ammazzar gente, è stupido quanto chi recita poesie d’amore, inorridendo all’idea del sesso. Nel suo atto fisico, terreno, carnale, non c’è amore che non passi attraverso una scopata. I cuoricini e i teneri sospiri vengono prima e dopo. Durante c’è carne che fotte carne.
Lo stesso è per la rivoluzione. I proclami, gli incitamenti, i nobili propositi, i simboli, i cuori oltre l’ostacolo, i ricordi alle spalle, la narrativa strappalacrime: tutto ciò sono cuoricini e teneri sospiri di chi era prima e sarà dopo. Durante è carne che fotte carne. Senza sapere se a cose fatte ti aspetta una sigaretta o una bara.

Questa è la rivoluzione: eliminazione fisica del nemico.
Per questo provo spavento quando sento la parola “rivoluzione” pronunciata per dare il viagra a discorsi da eunuchi. Per costoro “rivoluzione” è soltanto una frasetta che fa più figo un bacio perugina. Provo totale antipatia per i barricaderi da meccano, per i rivoluzionari del popolo del web.
E provo paura, perché fare la rivoluzione significa essere pronti a morire. Ne provo paura perché la rivoluzione, come il sesso, si fa o non si fa. Finché si ha voglia di parlarne, significa che si è buoni soltanto a farsi le seghe, mentali e non. Ne provo paura perché evidentemente ci sono tanti cazzoni che si riempiono la bocca di frasi rivoluzionarie, attendendo fiduciosi che qualcun altro vada a farsi ammazzare al posto loro.
Stando così le cose, la rivoluzione è fottuta in partenza. E per me, che non ho intenzione di farmi ammazzare per primo per conto terzi, non è poi un male. Però almeno evito di usare la frase che identifica il perfetto coglione: ci vorrebbe una rivoluzione.

Un pacato invito a quelli che sanno soltanto giocare ai Che Guevara con passamontagna da tastiera.
Non aspettare che vadano altri a fare i rivoluzionari, portalo tu a maturazione il tempo della rivoluzione. Dai il buon esempio se vuoi iniziare una rivoluzione. È facile, ci vuole poco. Ammazzati o fatti ammazzare: questo e nient’altro è rivoluzione. Niente di più e niente di meno.
Tutto il resto è calcolo opportunistico, vigliaccheria e quaqquaraqqua.
Non aspettare, non occorre fare la conta di quanti siamo.
Il rivoluzionario dà il buon esempio, fa affidamento solo sulle proprie forze.
Non fomenta gli animi al grido di "seguitemi innanzi!".
Il rivoluzionario basta a se stesso.
Agisce e lascia le parole agli amanti delle rivoluzioni da secchiello di pop corn.
Il rivoluzionario non si aspetta nulla dagli altri e non fa calcoli.
A contare i cadaveri ci penseranno gli altri.
Quelli che non perdono occasione per blaterare, indignati: ci vorrebbe una rivoluzione!

K.

4 commenti:

  1. Non sarò mai una rivoluzionaria che semina morte, ma sarei pronta a rivoluzionare il modo di pensare e persino il modo di intendere la rivoluzione come tu l'hai descritta.
    Non esiste un nobile fine così alto da giustificare una mattanza, sarà che sono contro la violenza sarà come dici tu che sono una vigliacca o una quaqquaraqquà ma tant'è.
    Ciò che ho appena detto forse risulta un oltraggio verso chi nelle rivoluzioni che hai citato all'inizio del post, ha perso la vita, ma proprio non ci riesco a dire che usare la violenza sia la soluzione.
    Il senso del tuo post è molto chiaro, dovremmo tutti usare con maggior attenzione questo termine, almeno chi con esso intende sobillare gli animi altrui, restando al sicuro dietro le pareti di casa.

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    1. Non reputo affatto vigliacco ecc. chi è contrario alle mattanze. Sono vigliacco e quaquaraqua in tua compagnia. Personalmente, non ho ansie rivoluzionarie (per il significato ortodosso che ho dato qua al termine). Sarebbe davvero auspicabile una riforma del modo di pensare, comportarsi, ecc.. Però, purtroppo, auspica oggi auspica domani, a forza di orecchi da mercante, la triste regola è che alla fine "chi sta sotto" arriva a menare le mani.
      Chi fomenta o auspica rivoluzioni nel modo che ho scritto, quelli sì sono tristi soggetti, che pensano di guardarla dal balcone, scattando foto agli altri, comunque "di sotto". Sempre che sappiano di cosa parlano, gli intellettuali salottieri della rivoluzione.
      A me spaventa anche soltanto l'idea. :o)

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  2. Ti passiamo a prendere presto, ché se no ti metti nei guai.

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    1. Fate con comodo, non c'è fretta. Non sono nella necessità di mettermi nei guai. Io ho un balcone, per giunta che dà sul cortile interno. Non mi serve nemmeno la macchina fotografica, che peraltro non possiedo. Sono munito di abbondanti scorte di libri.

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