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domenica 8 gennaio 2012

Scontrino contro l’evasione verbale

“Le parole possono essere come minime dosi di arsenico: ingerite senza saperlo sembrano non avere alcun effetto, ma dopo qualche tempo ecco rivelarsi l’effetto tossico. […] Per questo è necessaria la cura, l’attenzione, la perizia da disciplinati artigiani della parola, non solo nell’esercizio attivo della lingua – quando parliamo, quando scriviamo – ma ancor più in quello passivo: quando ascoltiamo, quando leggiamo.”
[Gianrico Carofiglio, magistrato, scrittore e politico, in La manomissione delle parole]

Ho appena iniziato la lettura del libro di Carofiglio, trovandovi molte riflessioni che condivido, avendole già fatte mie in precedenza.
In altre occasioni ho scritto come la parola pensata dovrebbe essere alla base di ogni azione umana. A volte ho colto scetticismo, legato al fatto che ormai ci si è rassegnati all’idea che “parlare” sia inconcludente, che la parola sia solo artificio retorico per rimandare l’agire.
Se la parola è stata svilita a un uso sterile e scorretto dei propri significati, non significa che sia la parola a essere in errore. Sono in errore quelli che le mancano di rispetto, violentandone il significato primo, e ancor più coloro che ne ascoltano il lamento straziante, senza contrapporsi.

Pensare bene è la premessa a parlare bene.
Parlare bene esercita a pensare bene.
Sono le premesse a una concreta qualità dell'agire.
Tutti noi dovremmo imparare a rifiutare l’abuso del linguaggio, rispedendo al mittente, magari con una solida dose di scherno, ciò che non è all’altezza del confronto tra intelletti.
Alla parola, al dialogo sociale, dovremmo sforzarci di restituire sostanza di contenuto.

Carofiglio ricorda come George Orwell citasse il buon linguaggio, per poter esprimere compiutamente le idee, che tradotte in atto avrebbero potuto intervenire, migliorandolo, nel tessuto sociale: “[…] combattere contro il cattivo linguaggio significhi, anche, opporsi al declino della civiltà.”

Sono felice di aver avuto, nei giorni scorsi, un esempio concreto di cosa significhi “armarsi di parole” per contrastare la stupidaggine.
Vi linko il comunicato della Presidenza del Consiglio, nel quale il professor Mario Monti replica all’interrogazione del senatore Roberto Calderoli, in merito a presunti sperperi di denaro pubblico per la cena di capodanno, presso Palazzo Chigi.
Sarebbe da stampare e attaccare in cameretta, come limpido esempio di educato e sobrio rifiuto di ogni passività di fronte alla strisciante calunnia verbale.

Questa è solo una chicca che ho estrapolata. 
“[…] Gli acquisti sono stati effettuati dalla signora Monti a proprie spese presso alcuni negozi siti in Piazza Santa Emerenziana (tortellini e dolce) e in via Cola di Rienzo (cotechino e lenticchie). […] Il Presidente Monti non si sente tuttavia di escludere che, in relazione al numero relativamente elevato degli invitati (10 ospiti), possano esservi stati per l’Amministrazione di Palazzo Chigi oneri lievemente superiori a quelli abituali per quanto riguarda il consumo di energia elettrica, gas e acqua corrente.”

Io sono meno signore. Non mi risulta che il senatore Calderoli pretese il rendiconto della bolletta della fornitura d’acqua a Palazzo Grazioli, quando Patrizia D’Addario si fece il bidet; tantomeno l'allora ministro esternò interrogativi sul corretto utilizzo delle auto delle forze dell’ordine, impiegate come vetture di accompagnamento escort, nella verde Brianza.

Non so voi cosa pensiate, ma io sono convinto che un comunicato di questo tenore, da parte di un “tecnico della plutocrazia”, tanto dileggiato da molti, con la sua pacatezza e sobrietà abbia ineccepibilmente “sfanculato” un intelletto rozzo, prodotto di una pseudopolitica che ha da tempo elevato a vanto l’insofferenza verso parole quali “intelligenza” e “cultura”.
In chi soffre disagio mentale nel maneggiare un periodo ipotetico in forma corretta, forte è la tentazione di evadere verso strumenti di confronto quali il dito medio, la pernacchia e il vilipendio istituzionale; passando per le domande idiote.

L’affilata arma di sobrio umorismo, nota anche come “sarcasmo”, sa rivelarsi molto più efficace di tutti gli sproloqui indignati e accalorati di tanti oratori, che sbraitano e urlano paroloni d’aria fritta.
Sono anche certo che, replicando sistematicamente a modo e a tono a certi individui, dopo un po’ si guarderebbero bene dall’aprir bocca, stanchi di essere ridicolizzati per le loro stesse esternazioni.

Potrà sembrare inconcepibile soltanto a chi ritiene le parole un ozioso passatempo da scrivania, ma anche una piaga sociale come l’evasione fiscale, può essere affrontata efficacemente soltanto quando cominceremo a combattere, senza mai abbassare la guardia, ogni tentativo vigliacco di evasione dal significato delle parole.
Altrimenti continuerà a essere troppo facile cercare di far passare una “retata di evasori fiscali da parte della Guardia di Finanza” come un “inaccettabile attacco alla ricchezza da parte di uno stato di polizia”.

Chissà, magari un dì riacquisirà un senso compiuto l’epigrafe “Un bel silenzio non fu mai scritto”.
Come epitaffio a chi confonde il dono delle corde vocali, con quello della parola; pensante.

K.

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