Così, una parodia di Francesco Totti a lezione di inglese, traduceva la frase “Che dio t’assista”.
In effetti qualcosa di divino c’è nel “diritto di” e nei “requisiti per” esercitare la professione di conducente di auto pubblica in Italia.
Faccio una domanda secca.
Come mai, spesso e volentieri, a effettuare le consegne, dai furgoni dei corrieri espressi, come SDA, UPS, TNT Traco, vedo scendere degli autisti multietnici (sudamericani, nordafricani, ecc.), mentre non mi pare di vederne alla guida dei taxi?
Venerdì 13 gennaio, i tassisti italiani hanno improvvisato interruzioni del servizio in tutta Italia, in segno di protesta all’intenzione del Governo Monti di liberalizzare la professione, come minimo ampliando il numero di licenze utili per poterla svolgere.
Questa è la pagina informativa del Comune di Milano rivolta a chi fosse interessato a diventare tassista. Sono necessari diversi requisiti, utili a pretendere buoni standard di qualità a tutela della sicure dei cittadini, da parte di chi si appresta a girare per le strade in auto svariate ore al giorno.
A un certo punto si parla anche della fatidica licenza.
Arriviamo al punto: il valore di livello divino (in denaro) della licenza.
Estraggo questo passaggio da una pagina di Soldi e Lavoro.
“La licenza comunque viene sempre venduta e il prezzo ricavato dalla rivendita viene considerato dai tassisti come una liquidazione.
Il valore della licenza varia da città a città, ad esempio Firenze è la più costosa con prezzi che si aggirano intorno ai 230mila euro, nelle piccole città invece si può pagare anche solo 20-25 mila euro.
Il lavoro rimane comunque particolarmente redditizio, si superano sempre i 3.000 euro mensili.”
Mi pare traballi un poco l’espediente di introdurre la bizzarra valenza di “liquidazione” per giustificare l’anomalia di un costo fuori da ogni logica di libero mercato – se non da privilegio di casta chiusa – che la licenza per diventare tassista ha ormai assunto.
Sarà senz’altro vero che Firenze guida la classifica del valore delle licenze, ma probabilmente tutte le grandi città seguono a ruota.
I tassisti stanno battendo molto su alcuni tasti: la qualità del servizio dei taxi nelle città italiane è di tutto vanto rispetto a quella di molte città, europee e non; il rapporto numero di taxi per numero di abitanti non è svantaggioso (ci sono sempre città dove per ogni taxi ci sono molti più abitanti a doverselo contendere); le tariffe per una corsa sono meno onerose da noi che in molto altri luoghi (mi permetto di far notare che certi valori non andrebbero presi con valore assoluto, bensì rapportati al costo della vita e al valore d’acquisto degli stipendi).
Ma tutti questi tasti, a mio parere, non importa se suonano bene o male. Non occorre nemmeno pigiarli.
Non c’è alcun motivo per il quale il livello di qualità del servizio taxi debba essere condizionato dal numero delle licenze.
E anche se andare in taxi fosse più economico del prendere l’autobus, continuo a non capire (eufemismo) perché si debba mantenere chiuso e bloccato il numero delle licenze.
Quello del tassista lo reputo un mestiere più simile a quello del muratore o del magazziniere, che non a quello dell’insegnante o del chirurgo.
Insomma, spero nessuno se ne voglia a male se penso che ci sono mestieri con differenti coefficienti di qualifica intrinseca.
Stabilita la fascia sociale di riferimento, un individuo dovrebbe avere la libertà di guidare un’auto pubblica, per guadagnarsi da vivere, alla stessa maniera in cui guida il furgone di un corriere espresso. Senza l’obbligo di trovarsi in tasca qualche decina di migliaia di euro per acquistare il diritto di svolgere un mestiere, che non richiede nemmeno una laurea.
Non mi risulta che ci siano licenze contingentate per fare il commesso, l’idraulico, il mulettista, il programmatore o il netturbino.
Vorrei che una persona, da qualunque parte provenga, se vuole fare il tassista, supera gli esami di abilitazione, prende un’automobile, la vernicia di bianco, la accessoria di tutto punto per poterla chiamare “taxi”; e inizia a lavorare.
Questo è un altro estratto, da un interessante comunicato che potete leggere integralmente sul sito del Sindacato Artigiani Taxisti di Milano e Provincia.
“- La liberalizzazione è per avvantaggiare i cittadini…..
FALSO: il vero intento è quello di favorire alcuni gruppi economici che vogliono entrare nel settore a costo zero, basandosi sullo sfruttamento di una manodopera a basso costo. Lo ha detto esplicitamente l’economista Marco Ponti a Radio Popolare il 14 dicembre u.s. :”beh…ovviamente è crudele dirlo, ma se ci sono delle Società che prendono con adeguati esami, di patente, di lingua italiana, di conoscenza della rete viaria dei dipendenti extracomunitari, le tariffe andranno giù molto rapidamente, è crudo dirlo, ma intanto tutti questi extracomunitari staranno meglio. E’ un esempio rozzo, ma il tipo di ragionamento vale anche per il trasporto pubblico locale. E’ lo stesso…”.
È ovvio che la retribuzione media dei tassisti scenderà, ma evidentemente c’è chi si riterrà ben contento di arrivare a fine mese avendo in tasca una cifra anche inferiore a 3.000 o 2.000 euro.
Come per il fattore qualità, anche la componente “tutela dei diritti dei lavoratori” non ha nulla a che fare con il numero delle licenze disponibili.
A meno che non si voglia strumentalizzare il timore dello sfruttamento di una manodopera a basso costo, usandolo come paravento “etico” dietro il quale celare i propri tornaconti egoistici; di una lobby barricata a difesa di personali privilegi.
Carta canta! Ops, licenza canta!
Vuoi fare il tassista?
Which god taxi driver! (facendoti vincere al superenalotto)
K.
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