“Il 17 febbraio dell’Anno Santo 1600, al termine di un processo durato (fra denunce, carcerazione, interrogatorio, ritrattazioni) nove anni, Giordano Bruno veniva condannato a morte, condotto al rogo con la bocca inchiavardata e bruciato vivo in Campo dei Fiori. […]”
L'8 febbraio, Giordano era stato costretto ad ascoltare inginocchiato la sentenza di condanna a morte per rogo; si era alzato e ai giudici indirizza la storica frase: “Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla”. Rifiuta i conforti religiosi e il crocefisso, e il 17 febbraio , con la lingua in giova - serrata da una morsa perché non possa parlare - viene denudato, legato a un palo e arso vivo. Le sue ceneri saranno gettate nel Tevere.
Ciò che conta è non abbassare mai la guardia, perché ciò che una teocrazia oscurantista fece secoli fa, sarebbe pronta a rifarlo anche oggi; facendoci ripiombare in una caverna del pensiero, dove soltanto ignoranza e fanatismo dominerebbero.
Il lupo perde il pelo, ma non il vizio.
Ecco cosa accade ancora oggi, nella moderna Italia del 2012.
E questa è l’elemosina che i carnefici seppero concedere alla loro vittima.
Il 18 febbraio 2000 papa Giovanni Paolo II espresse profondo rammarico per la morte atroce di Giordano Bruno, ma senza riabilitarne la dottrina: la morte di Giordano Bruno “costituisce oggi per la Chiesa un motivo di profondo rammarico” (quando si dice le lacrime del coccodrillo…).
Tuttavia “questo triste episodio della storia cristiana moderna” (moderna?!) non consente la riabilitazione dell'opera del filosofo nolano arso vivo come eretico, perché “il cammino del suo pensiero lo condusse a scelte intellettuali che progressivamente si rivelarono, su alcuni punti decisivi, incompatibili con la dottrina cristiana”.
Ci sta, dico io. Dal punto di vista immutabile della Chiesa, ci sta. La Chiesa è tecnicamente fondata sull’ottusità di pensiero, poiché basa tutta se stessa sulla sacralità di presunte scritture autoreferenziali, antecedenti ogni processo di confronto intellettuale. Il quale confronto, di conseguenza, è reso impossibile da un limite tecnico: le scritture vengono “prima di tutto il resto” proprio per un fatto temporale, immutabile.
Dal suo punto di vista (cieco e ottuso) la Chiesa si comporta "coerentemente" e "giustamente". La Chiesa non può riabilitare chi ha irriso i sacri dogmi.
Ma… un attimo! Parliamo dello stesso individuo, quel Karol Wojtyła, in arte papa, che il 18 febbraio del 1993, soltanto sette anni prima, aveva scritto questa frase?
“Al generale Augusto Pinochet Ugarte e alla sua distinta sposa signora Lucia Hiriarde Pinochet, in occasione delle loro nozze d'oro matrimoniali e come pegno di abbondanti grazie divine, con grande piacere impartisco, così come ai loro figli e nipoti, una benedizione apostolica speciale”.
La liturgia cattolica, la dottrina cristiana, contemplano la benedizione apostolica speciale per un conclamato dittatore, responsabile di democidio e della spietata uccisione di migliaia di persone?!
Peccato davvero che non ci sia un inferno.
Giordano non avrebbe nemmeno corso il rischio di incontrarvi Karol.
Perché non si troverebbe all’inferno.
Giordano, intendo.
K.
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