[articolo 609-bis, Codice Penale della Repubblica Italiana]
Questi sono i documenti, qualora si volesse leggerli.
Il primo, emesso in data 22 maggio 2012 dalla Conferenza
episcopale italiana, contiene le “Linee guida per i casi di abuso sessuale nei
confronti di minori da parte di chierici”. (è possibile scaricarlo in formato
word anche da una pagina del sito della Cei)
Il secondo è il Codice Penale della Repubblica Italiana.
In particolare al Libro II Titolo XII Capo 3 Sezione 2, l’articolo609-bis e seguenti contengono le disposizioni di legge in merito a violenza
sessuale e abuso su minori.
Tutti i cittadini italiani dovrebbero essere sotto la
giurisdizione della Repubblica Italiana, per diritti e doveri; nello specifico
i minori, i bambini, dovrebbero essere tutelati dalle leggi italiane, senza
distinzioni e senza tentennamenti.
Nel recente documento della Cei vengono ribaditi e
ufficializzati i soliti mortificanti vizi di pensiero e procedura della gerarchia
ecclesiastica, una “società a parte” dentro il tessuto sociale.
Ai vescovi non viene imposto l’obbligo di denuncia alle
autorità competenti italiane, qualora avessero elementi per agire in tal senso.
Monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei, spiega: “Non
possiamo chiedere al vescovo di diventare un pubblico ufficiale: formalizzare
la richiesta al vescovo di denunciare i casi di abuso vuol dire andare contro
l’ordinamento, del resto su questo problema la cooperazione con la magistratura
è un fatto ordinario”.
Il vescovo – bontà sua - “può incoraggiare le vittime a
rivolgersi alla magistratura”. La garanzia etica dell’operato dei vescovi
poggia quindi sulla buona volontà
degli stessi a collaborare con la magistratura; curiosamente poggia sullo
stesso codice morale, proprio disattendendo il quale un chierico compie atti di
pedofilia. Quindi dove sta la garanzia di comportamento collaborativo?
Sarebbe come se, avendo il fondato sospetto – magari delle
prove concrete – che il mio dirimpettaio sevizia i figli minorenni, io non mi
rivolgessi al più vicino commissariato di polizia, ma chiamassi al telefono l’amministratore
di condominio, il quale mi rassicurerebbe che ci penserà lui a gestire la
faccenda.
Prevale il concetto di agire con discrezione, tacitamente,
condannare il peccato e non il peccatore. Intanto nel segreto della propria
coscienza il peccatore risponde a dio. Farebbe però piacere, alle vittime, che
l’evidenza delle prove lo portasse a rispondere anche alla giustizia terrena.
Questi codici d’etica di convenienza vanno bene per i membri
di una setta, per dei poteri paralleli, per le organizzazioni malavitose, per
le logge massoniche. Non dovrebbero essere tollerati in uno stato civile,
perché l’eventuale segreto da confessionale si tramuta in connivenza omertosa
e criminale.
Viene del resto ribadito che “i vescovi sono esonerati
dall’obbligo di deporre o di esibire documenti in merito a quanto conosciuto o
detenuto per ragioni del proprio ministero”, poiché “nell’ordinamento italiano il
vescovo, non rivestendo la qualifica di pubblico ufficiale né di incaricato di
pubblico servizio, non ha l’obbligo giuridico di denunciare all’autorità
giudiziaria statuale le notizie che abbia ricevuto in merito ai fatti illeciti”
di abuso sessuale da parte del clero.
La Chiesa, quando serve, sa essere molto perentoria nelle
sue prese di posizione: “Eventuali informazioni o atti concernenti un
procedimento giudiziario canonico possono essere richiesti dall’autorità
giudiziaria dello Stato, ma non possono costituire oggetto di un ordine di
esibizione o di sequestro”. E ancora: “rimane ferma l’inviolabilità dell’archivio
segreto del vescovo” e “devono ritenersi sottratti a ordine di esibizione o
sequestro anche registri e archivi salva la comunicazione volontaria di singole
informazioni”.
L’irreprensibilità di facciata viene salvata precisando che “nessuna
responsabilità, diretta o indiretta, per gli eventuali abusi sussiste in capo
alla Santa Sede o alla Conferenza episcopale italiana” e che “risulterà
importante la cooperazione del vescovo con le autorità civili, nell’ambito
delle rispettive competenze e nel rispetto della normativa concordataria e
civile”.
Nei confini del proprio territorio lo Stato vaticano è
libero di gestire come meglio crede la questione della pedofilia, foss’anche
depenalizzarla ed elevarla a prova d’ardimento, tentazione del demonio da superare
per rinforzare lo spirito e la forza di volontà dei prelati.
Lo Stato italiano dovrebbe invece far sentire forte e chiara
la propria sovranità di giurisdizione, con un’affermazione che potrebbe suonare
più o meno così: “Tutti i bambini residenti sul suolo della Repubblica Italiana
sono tutelati dalle leggi dello Stato, che si impegna fermamente a proteggerli
come cittadini minorenni, proibendo qualsiasi intromissione da parte di chiunque
operi minacciando sia la salvaguardia dei diritti dei cittadini stessi, sia la
sovranità legislativa italiana.”
Su una questione drammatica come la pedofilia, non dovrebbe essere nemmeno tollerata senza replica ufficiale del Governo Italiano l’aperta presa di
distanza dalle leggi italiane, soprattutto da parte di un’istituzione che,
quando ne ha convenienza, si fa trovare zelante nelle prime file della nostra normativa
fiscale, per ottenere gettito dalla dichiarazione dei redditi.
I vescovi, i clerici in genere, possono sentirsi liberi di
attenersi al diritto canonico e alle disposizioni della Cei. Qualora la
magistratura italiana venisse a conoscenza dei fatti, dovrebbe però essere
legittimo a quel punto incriminare quegli stessi vescovi per occultamento di prove, omissione di
soccorso e concorso in violenza sessuale ai danni di minori.
Sarebbe utile chiarire se i bambini residenti in Italia
siano sotto la sovranità di tutela del tricolore italiano, in quanto cittadini minorenni.
O se piuttosto siano da annoverare come chierichetti, sotto la sovranità della
bandiera pontificia.
K.
ps: per fortuna leggo ora che qualcuno si sta attivando, nonostante la vergognosa latitanza delle istituzioni: "Incivile omertà"
ps: per fortuna leggo ora che qualcuno si sta attivando, nonostante la vergognosa latitanza delle istituzioni: "Incivile omertà"
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