Bene, CEI. Diamoci pure del tu. (si fa per dire)
È martellante la cadenza con la quale la pubblicità “Chiedilo a loro” appare sui canali televisivi in queste settimane. La Chiesa cattolica invita a sceglierla per donare l’8 x mille nella dichiarazione dei redditi. Facendo appello al buon cuore dei telespettatori, fa sfilare in passerella poveri, emarginati, ex tossicodipendenti, malati di aids, donne vittime della prostituzione e della violenza.
Sia chiaro senza equivoci: la Chiesa annovera tra le sue
attività utili, capillari, concreti interventi nel tessuto sociale, in soccorso
e sostegno di categorie spesso colpevolmente trascurate dallo Stato.
Invece l’intenzionale equivoco è nel concept dello spot. A partire dal payoff: “Chiedilo a loro!”
Ci pensa la CEI a suggerirmi la risposta rassicurante a una
implicita domanda.
Il dubbio c’è, ma è scaltramente sottaciuto.
Perché dovrei
destinarti l’8 per mille nella dichiarazione dei redditi?
Più diretto: Perché,
Chiesa, dovrei darti i miei soldi?
Come perché?! A noi lo
chiedi?! risponderebbero le alte gerarchie in vesti sontuose, anelli d’oro
e floridi conti bancari.
A fare la questua non ci mettono la faccia i manager di
un’organizzazione god profit che non
sta esattamente con le pezze al culo – vedi IOR, APSA, IMU (pure quest’ultimo
un ottimo strumento di introito economico, visto che si può far soldi anche risparmiando
sulle uscite, non pagando tasse che altri soggetti devono versare alle casse
dello Stato).
Papi, cardinali e vescovi, quando fa comodo, mandano in
campo le “vecchie glorie”, il povero cristo scalzo, il buon fraticello, il
missionario in terra d’Africa e il bravo parroco di campagna. In compagnia
delle tante persone che ricevono aiuto. Mettono in vetrina la falegnameria,
nascondendo l’argenteria. Candelabri d’oro e argento massiccio potrebbero far
vacillare le coscienze. Esponiamo invece la ciotola in legno del santo graal
dell’umile falegname, le miserie e ristrettezze umane (degli altri), mandiamo
in giro San Francesco a porgere la mano mendicante.
Chiedilo a loro perché
dovresti darci i tuoi soldi.
Perché noi,
francamente, non sapremmo che risponderti.
Io dovrei chiederlo a loro. A persone stimabili (i
soccorritori) e meritevoli (i soccorsi). Troppo comodo, troppo prevedibile, non
vi pare?
Mi dite di chiederlo a loro. Perché i porporati ben pasciuti
mandano la manovalanza a bussare al mio buon cuore per chiedermi l’obolo.
E se io volessi
chiedere a voi perché non ci mettete
le vostre facce? Se volessi rivolgere io
domande meno banali e più scomode ai vari Ruini, Bagnasco, Bertone, Ratzinger?
Ci provo.
Andiamo a vedere cosa c’è dietro la bonaria pubblicità di
facciata.
Nel 2011, di granello in granello, la Chiesa cattolica ha
racimolato più di un miliardo e cento milioni di euro. Ottimo, tutti soldi che
andranno in opere di carità, come da pubblicità, verrebbe da pensare.
Circa un terzo della cifra viene speso per catechesi ed
edilizia di culto (ah, pillola umoristica: pure lo Stato italiano impiega quasi
la metà del proprio gettito da 8 x 1000 al restauro architettonico degli
edifici cattolici).
Un altro terzo serve al sostentamento (stipendio) del clero.
A conti fatti soltanto un quinto di tutta la somma viene
impiegato per interventi caritativi.
Potremmo davvero chiedere a loro cosa ne pensano di questa ripartizione.
Curiosamente, lo stesso presidente dell'Amministrazione del
Patrimonio della Sede Apostolica ha lamentato il divario esistente tra il
messaggio della campagna pubblicitaria e l’effettiva destinazione d’uso dei
soldi raccolti.
No, io non ho niente da chiedere ai dignitosi interpreti
della pubblicità.
Nessun dubbio sul loro genuino valore umano. Anzi, sono qua
a rassicurarli.
State tranquilli, a voi poveri, a voi ultimi, a voi
emarginati, qualcosa di buono arriverà da questa pubblicità.
Un euro su cinque, ma arriverà.
K.
pubblicato su Cronache Laiche
Post Scriptum
Una nota a margine, anzi a pedice, doverosa.
Da uomini di mondo, sappiamo che la pubblicità è un mezzo, e
la Chiesa in questa circostanza se ne serve al meglio. Conviene riflettere su
qualche altra cifra. Nel 2008 la Chiesa cattolica ha speso 22 milioni di euro
in pubblicità, ottimo investimento in termini relativi, visto che la cifra è
equivalsa al solo 2,5% dei fondi per quell'anno. Insomma, una campagna
faraonica con ritorni economici piramidali: ottima operazione di marketing.
Lo Stato invece non investe minimamente in pubblicità: la
percentuale di preferenze di destinazione dell’8 per mille a favore dello Stato
è scesa drasticamente dal 23% del 1990 all'8% del 2006.
Evidentemente nella gestione della cosa pubblica frega poco
ai responsabili di lavorare per il vantaggio economico (e sociale) dello Stato.
Si può discutere sull’effettiva destinazione caritatevole di
ingenti cifre raccolte; magari anche sulla correttezza comunicativa di certe
pubblicità. Se però stiamo al metodo, si constata che non è colpa della Chiesa
se lo Stato italiano non sa curare i propri interessi, come in tanti altri
confronti con lo Stato vaticano. Questo accade quando istituzioni pubbliche
sono ridotte a strumento per curare interessi personali e privati.
A pensarci bene, oggigiorno, chi scommetterebbe un euro che
il suo 8 per mille dato allo Stato non finirebbe nelle tasche di qualche
mestierante o tangentista?
Bravo, bravissimo dall'inizio alla fine. Mi si rimescola il sangue ogni volta che mi ci fanno pensare.
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